CRESTOMAZIA 6


Testi verbovisuali di: Franco Capasso, Luciano Caruso, Franco Cavallo, Giovanni Fontana, Eugenio Lucrezi, Francisco Muñoz Soler, Marija Sukovic, Jean-Charles Vegliante.

*

FRANCO CAPASSO
Da questa postazione nel buio

Da questa postazione nel buio
guardo il muto divenire
e sembra pura coazione
: si stempera nell’andare per mete
alterne
mai uguali
intorno all’asse della memoria
: un viluppo di luci che corre all’infinito
alternandosi in luce-ombra
come in una forma di febbre
bussando alla porta
della casa disabitata
l’organo eretto del vento
scrive una storia legata ad un filo
sottile come una febbre sottile
che uccide

(da Dei colori, Marcus Ed., 2004)

 

 

LUCIANO CARUSO

 

 

FRANCO CAVALLO

l(ex)iquida obniscienza in presenza glaucale
nell’altissimo pino vedean li dèi e l’amore,
pipsula in insula corallina anfitrioni − e

poi ritornati alle belle giornate d’autunno
sull’auto(bus) che li conduce all’accettazione
supina della res padronale, lambruschi lombri-
chi cauti alla pozzanghera e alla genuflessio-
ne, alle regole fisse della trigonometria bor-

ghese (ah, corona di spine della rivoluzione!)

(da Rien ne va plus, Sic, 1972)

 

 

GIOVANNI FONTANA

C’est le temps

 

 

EUGENIO LUCREZI
Aletto a Barga

Sta terra è na carne,
na ninna ca chiagne,
nun têne cchiù zolle,
sta nanna ‘e sanghe.

Stu fiume è na culla,
na ninna ca chiagne,
na suppa ‘e carogne,
na nanna ‘e sanghe.

Si flectere superos nequeo
movebo Acheronta, si magna
non potest Iovis coniunx,
petibit terras horrenda.
A sede dirarum dearum,
ab infera nocte ciet
Allecto lucta ferentem,
quae crimina tenet in corde,
cui dant voluptatem bella.

Allecto infecta venenis
unum de crinibus anguem
Amatae conicit in sinum.
Anguis inter vestes et pectora
attactu volvitur nullo,
fit tortile aurum collo,
fit longis taenia capillis
et membris lubricus errat.
Ac dum prima lues pertemptat
sensus, et implicat ossibus
ignem, nec dum animus toto
percepit pectore flammas.
Tum vero infelix ingentibus
excita monstris immensam
lymphata furit per urbem.
Ceu quondam torto volitans
sub verbere turbo, quem pueri
in gyro vacua per atria
intenti ludo exercent.

Fanciullo sognante
sui pianti strazianti.
I sangui dei fanti
ad usum infantis.

Strazianti deliri
da medie inferiori.
Gli onori dei fanti
dai tanti dolori.

Nota: in latino, parafrasi e riduzione ritmica di alcuni passi del libro VII dell’Eneide. Le due quartine finali contengono alcuni prelievi dall’Introduzione di Eduardo Sanguineti alla sua Poesia italiana del Novecento (Einaudi, 1969), là dove scrive del Pascoli.

 


FRANCISCO MUÑOZ SOLER

Anhelo al alborear el día

pasear hasta la playa
y observar la orilla que declina,

disponerme a viajar a mi memoria
que se abre como una aurora
porque la gravedad de la herida
no es penumbra hueca sino espacio
de abertura que navega desde la orilla
hasta los océanos donde se divisa
la Cruz del Sur con su belleza,

en el circulo del agua ordenar
constelaciones, escuchar el silencio,
el eco del pensamiento, en ese tiempo
cósmico, un segundo hecho de memoria,
donde somos el uno y el otro,
en el tiempo y el espacio ajeno
a la sentencia de Horacio.

 

Desidero vedere l’alba

passeggiare fino alla spiaggia
e osservare la riva che declina,

prepararmi a viaggiare nei ricordi
che si affacciano come un’aurora,
perché la profondità della ferita
non è tenebra vuota
ma un varco che salpa della riva
verso gli oceani,
dove, si può avvistare
la Croce del Sud con la sua bellezza,

dove, nei cerchi d’acqua
si possono disporre le costellazioni,
ascoltare il silenzio,
l’eco dei pensieri, in questo cosmico
un secondo fatto di memoria
dove siamo l’uno e l’altro
nel tempo e nello spazio
del tutto estranei  alla sentenza di Orazio.

 

 

MARIJA SUKOVIĆ
Due poesie
(Traduzione di Paolo Maria Rocco)

Utočište 

Prošlosti, oprosti ako smetam
samo bih da prenoćim.
Cio dan kišni ivicom šetam
guta me samoća, morala sam doći.

Neću dugo, iskrašću se zorom
tiho, da te ne remetim
stisnutog grla, jezika oporog
ali ne brani mi da se bar sjetim

još večeras, dok sam u bolu
da u kolijevku srce spustim
krvarim, prošlosti, tvoju dozvolu
a onda zauvijek ću da te pustim.

Oprosti, blijeda, jer te budim
ovo je posljednja noć kad sam dijete
i upozoravam te, ako poludim-
to je od sjete, to je od sjete.

 

Rifugio

Oh Passato, perdonami se ti ho importunato
vorrei solo che passasse questa notte.
Per tutto il piovoso giorno lungo i cantoni ho camminato
la solitudine mi ha inghiottito, dovevo venir da te.

Non ci vorrà molto, al levar del sole
me la svignerò in silenzio, per non tediarti.
La lingua è irrigidita, la gola duole
ma non proibirmi almen di ricordarti

ancora questa sera, mentre sto soffrendo
nel convincere il mio cuore a soggiacere.
Oh Passato, io sto la tua indulgenza sanguinando
e poi ti lascerò per sempre andare.

Se ti sveglio, pallido Passato, perdono io chiedo,
ancor per questa notte, l’ultima, mi farò creatura
e ti dirò se la follia mi porta indietro –
colpa della memoria, della memoria.

 

Neka meso ispašta

ja nisam ono što bi poželio voljeti
tek što možeš da me vidiš valjalo je truda

jer ne zalistah u saksiji gdje me posadiše
ja sam divlja biljka
odbjegla u drumove da diše
kamene cipele i razlog buntovnika
apstraktna slika
isklijala avangarda u bašti krompira
uskok preko reda, utroba nemira

dok vaše stvarnosti zaziru od isteka
ja sam rijeka, ja sam hladna rijeka

zaobiđite me uštirkani, ovo je pjesma smrada
ja sam nokat koji urasta i ne marim

neka meso ispašta

 

Che la carne marcisca

Non sono quella che io vorrei amare
ma riuscire appena a vedermi è valsa la pena

perché non sono sbocciata nel vaso in cui mi hanno interrata
io sono una pianta selvatica
che fugge, per respirare, sulla strada
sono scarpe di pietra e ragione indomita
immagine utopica
avanguardia germogliata tra le patate del verziere
che travalica il confine, con l’agitazione nelle viscere

mentre le vostre realtà destinate sono ad una fine
io sono un fiume, un freddo fiume

girate alla larga fighetti, questa è una poesia puzzolente
sono l’unghia incarnita, e me ne infischio

che marcisca la carne
(da Onostranost je prilike, 2019)

 

JEAN-CHARLES VEGLIANTE
L’infini
(traduzione di Felice Piemontese)

Pourquoi je ferme les yeux pour te garder,
image plus éphémère que ma vie,
jeune fille, ame à fleur de peau n’attendant
de nous qu’un signal, une reconnaissance?
Dans le compartiment quelqu’un a senti
peut-être un souffle, qui tressaille au léger
dout aussitot repoussé, d’être vivant,
quand timidement altière tu t’avances
vers un paysage pour nous invisible
prêt comme un un grand corps blessé à t’accueillir,
à compenser l’injustice de les parents
trop humains – alors que tout en toi se pense
au delà, dans les herbes, la terre heureuse:
dont tu seras, avant que moi défait, mue.

 

L’infinito

Perché chiudo gli occhi per conservarti,
immagine più effimera della mia stessa vita,
fanciulla, anima a fior di pelle, che
attende da noi solo un segnale, un riconoscimento?
Nello scompartimento qualcuno ha sentito
forse un soffio, che trasalisce al dubbio
leggero subito respinto, d’essere vivi,
quando timidamente altera incedi
verso un paesaggio per noi invisibile
pronto ad accoglierti come un grande corpo
ferito,  a compensare l’ingiustizia di genitori
troppo umani – mentre in te tutto si pensa
al di là, fra le erbe, la terra felice:
di cui tu sarai, prima di me disfatto, mutata.


 

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.