A cosa serve un premio letterario?

Sulla mia pagina facebook, ho lanciato un quesito sull’utilizzo e la validità culturale dei premi di letteratura che sempre più spesso per partecipare chiedono una tassa di lettura: «Posto che i premi di letteratura sono combinati al di fuori del merito (giochi di potere!), per partecipare molti chiedono anche una somma di denaro per le spese di segreteria e di organizzazione. Personalmente ho sempre rifiutato questi premi (e i premi in genere) e continuerò a farlo. È molto semplice organizzare premi di siffatta specie! Voi che ne pensate, anche dei premi in generale?».

 

Preziosi Federico – Secondo me un premio con una giura molto competente può fare la differenza, una giuria composta da critici e autori di valore. Inoltre chi vi partecipa non deve prendere troppo la questione a cuore, tanti validi autori non vincono niente e di certo un concorso non stabilisce sempre la bravura di qualcuno. Del resto tanti vengono dimenticati anche raggiungendo traguardi importanti. Fare dei concorsi è comunque importante se dietro c’è un lavoro serio: produzione di motivazioni, diffusione degli autori vincitori, insomma fare di tutto per mettere al centro la validità della proposta poetica.

Marisa Papa Ruggiero – Solo belle parole!

Giorgio Moio – Federico, ammesso che tu abbia ragione, è la tassa di lettura che stona in un premio con una giuria molto competente, che dovrebbe essere la prima a prendere le distanze da suddetta tassa. Non sono d’accordo che l’agonismo renda i concorsi motivati, sappiamo come vanno a finire e a quale scopo servono. Ti potrei fare un elenco abbastanza nutrito di poeti vincitori di concorsi legati ad un certo contesto editoriale. La validità poetica, in questo caso, viene ad inficiarsi da sola. Viceversa, potrei dirti anche di autori meritevoli più di altri che sono tornati a casa a mani vuote. Come vedi, i premi non servono a nulla, solo all’amico e all’editore del proprio giro.

Preziosi Federico – Giorgio, non è un problema se viene chiesta una quota, dipenda dalla “missione” del concorso. Sono d’accordo che ci siano tante realtà spazzatura, ma penso anche che un concorso, se serio, sappia lanciare una sfida culturale. Se la giuria non esprime autori di valore, fallisce nel proprio compito. Credo, inoltre, che anche la loro credibilità ne possa risentire. Forse, per assumere un atteggiamento più interessante ed eticamente rispettoso dell’arte, sarebbe bello che qualcuno si prenda la briga di criticare i risultati concorso per concorso rischiando di farsi nemici grossi! Invece no, si entra nelle rose dei finalisti e anche quando i concorsi rendono note le scelte con tanto di poesie o opere selezionate, non si disputa seriamente se non con qualche commento su Facebook. Ci vuole tanta competenza per fare questo, chi ne sarebbe capace? C’è chi decide di non volersi esporre perché tanto è tutto marcio e decide di scrivere per sé (chiaro che non mi riferisco a te), ma fare la guerra ai concorsi è la soluzione? Temo di no. La soluzione è discutere sulle scelte. Gratis non è indice di qualità, anzi nell’era in cui viviamo può trasformarsi anche in una bellissima operazione di marketing. Un giudizio serio e competente deve essere retribuito, leggere decine di libri, centinaia di poesie è un lavoro. Non ho parlato di concorsi legati necessariamente ad ambiti editoriale, spesso si rischia di finire in un talent show e non ho nemmeno parlato di agonismo come motivazione. Penso che tutto sia frammentato e che sia più costruttivo occuparsi di realtà che provano a mettere in piedi un discorso culturale piuttosto che fare di tutta un’erba un fascio. Saranno anche belle parole, ma intanto quest’epoca soffre maledettamente di mancanza di guide e non si raggiungerà nessun risultato culturale sabotando concorsi. C’è tanta corruzione, siamo d’accordo, ma anche tanta gente preparata che onestamente e pochissimi mezzi a disposizione prova a cambiare le cose. Chiaro che si possa sbagliare o non capire, ma il lavoro di una giuria, anche se onesto, è sempre un lavoro di “compromesso”, perché mettere d’accordo posizioni diverse non è mai semplice.

Giorgio Moio – Forse non è un problema economico, ma è un problema etico, di serietà.

Antonio Spagnuolo – 20 euro a poesia, per cento poesie fanno duemila euro esentasse!!! È semplicemente un gioco al quale molti abboccano ingenuamente ed illusi da un premio che molto spesso è già predestinato dall’organizzatore! Ma la disillusione tocca anche per i grandi premi, senza tassa di lettura, i quali mirano soltanto alla grancassa che la casa editrice riesce a battere. Basta leggere l’ultimo volume premiato allo Strega di quest’anno e confrontarlo con il bellissimo volume di Wanda Marasco che non ha vinto!!! – Sic transit gloria…

Giorgio Moio – Appunto, Antonio. La questione della “parzialità” riguarda tutti i premi: sono fatti proprio per favorire “l’amico” e “l’editore” di turno (anch’esso amico). Aborrendo sistematicamente quelli a pagamento! Ma come, per far leggere poesie alla giuria di un premio si deve pagare? Hai detto bene: il fesso (o l’illuso) di turno lo trovano sempre. Ma poi cosa aggiungerebbe al proprio percorso culturale la vincita di un premio? Beati gli illusi!

Unda Julia – L’unico premio serio, tra i circa 4.000 che ci sono in Italia, è il Fra’ Cazzo da Velletri.

Giorgio Moio – Questa è una bella risposta!

Bruno Di Pietro – Attento Mimì, qualcuno potrebbe chiederti quando scade…

Leopoldo Attolico – Una giuria competente e seria (inattaccabile dalle raccomandazioni) dovrebbe essere la prima a prendere le distanze dalla tassa di lettura. Ma prevale l’ego dei personaggi e ci si passa sopra con gran disinvoltura, perché l’apparire relega l’essere ‒ da sempre ‒ in una chiara (e triste) condizione di subordine permanente.

Ivan Crico – La tassa di lettura è diventata pratica comune in concomitanza con i tagli di fondi, sempre più importanti nell’ultimo decennio, alle associazioni culturali. I giurati hanno un costo, elevato, soprattutto se arrivano da lontano. Tra rimborsi per il viaggio, vitto e alloggio, un singolo giurato può costarti tranquillamente tra i cento e i trecento euro. Ci sono inoltre giurati che chiedono un rimborso (non a torto) per dover leggere centinaia di testi sottraendo del tempo prezioso al proprio lavoro o alla propria famiglia. In più ci sono, ovviamente, i soldi da tirar fuori per i premi. Per cui o disponi di fondi regionali per sostenere tutte le spese o sei costretto a chiudere o a richiedere un contributo per la partecipazione al premio.

Armando Saveriano – Concordo in pieno.

Ivan Crico – Armando Saveriano e Giorgio Moio, qui tutti parlano dei massimi sistemi ma, mi sa, quasi nessuno ha mai dovuto compilare una domanda di richiesta di fondi alla regione o redigere il bilancio di fine anno di un’associazione culturale con la rendicontazione delle spese. Non si pensa che ci sono spese di segreteria, di spedizione, di stampa dei manifesti, spese per pagare viaggio vitto e alloggio ai giurati per il giorno della premiazione, magari prevedendo anche un rimborso spese. Possiamo togliere i premi; ma, si sa, i premi senza premi in denaro non li calcola nessuno. Quindi, se le regioni, hanno negli ultimi anni, ridotto di tre quarti in media i finanziamenti alle associazioni culturali, dove si vanno a trovare questi fondi? Dagli sponsor? Ma anche le aziende sono in crisi e quasi più nessuno butta qualche migliaio di euro per finanziare un premio di poesia: meglio una squadra di calcio che offre più visibilità. Resta una sola unica (ammetto: sgradevole) via se si vuol continuare a mantenere in vita un premio in mancanza di finanziamenti esterni: chiedere una tassa per partecipare al premio.

Armando Saveriano – Ivan Crico, parole sante. Il nostro premio onesto, severo e vigilato da una GIURIA di eccellenze non sopravvivrà, mentre i potenziali concorrenti si lagnano del misero contributo, ma si aspettano ricchi premi in danaro. Un’altra occasione mancata, un ennesimo danno alla Poesia, mentre prosperano canali manipolatori, giurie di accademici e giornalisti sconosciuti, medaglie e chincaglierie elargite a tutti, affinché ogni candidato si senta epigono di Tomas Transtromer, di Anise Koltz o di Vittorio Bodini (ammesso che i più sappiano di chi si tratta). Aboliamo i concorsi che dissanguano i partecipanti. Lasciamo che costoro spendano migliaia di euro per realizzare libretti superflui, acquistati da parenti e amici compiacenti e in tempi brevi destinati all’oblio.

Rosalba de Filippis – Lascio in genere trascorrere i termini di scadenza di tanti premi letterari. Mi capita anche con quelli seri. A volte me ne rammarico, altre no. Una pigrizia perniciosa, mista a narcisismo autolesionistico e vittimista. Incappata a volte in qualche tassa anche in premi prestigiosi. Dispiace pensare che in certi casi vengano gestiti da personaggi privi di scrupoli.

Elena Marini – Premio “L’Oscar della Poesia Contemporanea” non sarebbe male, no? Idiozia dilagante, mediocrità e corruzione, ecco cosa ne penso.

Alfonsina Caterino – Penso che il raffronto tra le persone abbia validità solo se i loro testi vengano sottoposti a giurie valide. Valide nel senso scrupoloso del termine, competenti in quanto padronissime della materia e moralmente corrette perché non è il ruolo referenziale a muoverle dietro un tavolo selettivo, ma la passione pura di discriminare la poesia dalla non poesia, e la forza narrante dalla smania di rendersi visibili ovunque ed anche sulla carta stampata. Un fenomeno orrido che è scorso negli ultimi vent’anni, è consistito nel fatto che, molte persone benestanti e annoiate, non ritenendo più il diario privato, una buona soluzione al proprio sfogo interiore, hanno cominciato a mettere sulla carta i propri rimpianti, rimorsi, i perché degli amori finiti, la sofferenza per quelli non iniziati e così via… Non so se, sia nata prima questa letteratura a bon-prix o le case editrici che editano tutto. Fatto sta che pubblicare libri, partecipare a concorsi e vincere premi, coccarde, pergamene e cotillon, è diventata un affare festivaliero che si organizza 360 giorni all’anno. Secondo me non esiste un concorso, uno solo che non abbia nel vaso di vetro, il nome e i nomi delle persone destinate a vincere. Talora può capitare, per caso, sotto gli occhi di qualche persona componente la giuria, valida e seria, un testo così interessante e superbamente scritto, da meritare di vincere ambendo al primo premio! Ma… les yeux son faits e nessuno torna indietro… Cosa si fa allora? Si è iniziato a dare a costoro che valgono, ma non possono essere vincitori, una menzione speciale! Un’altra metodologia squallida che ha creato un’industria babelica della poesia, è consistita nel nome affermato di scrittori-poeti i quali si sono messi ad indire concorsi con somme in palio, da capogiri… – Io stessa ho partecipato a questa tipologia, negli anni passati, fidandomi del nome… – Quando ho capito la manfrina perché passando il tempo, il montepremi aumentava, ma nessuno vinceva nulla, anzi si doveva pagare per essere annoverati nelle loro antologie… ho perso definitivamente la fiducia, anche nei nomi altisonanti. Che, probabilmente, sono i più responsabili di tutti, in quanto si sono messi al servizio di inutili e scadenti concorsi, facendo far svalutare il diritto della Poesia di viversi Poesia.

Alfonso Severino – C’è poca attenzione verso la poesia, generalmente relegata a Cenerentola della letteratura. Tanti vivono di auto-referenzialismo e mercificazione, un vero peccato. A questo di aggiunge la vanità di autori mediocri che tentano una pur sempre scivolosa scalata, un vacuo approdo.

Franco Piri Focardi – No! sono e sarò sempre contro i premi letterari. Primo perché il bello o il brutto, l’interessante o meno, sono opinioni o molto soggettive, o che rispecchiano mode culturali. Secondo, perché dovremmo avere le capacita per creare nuovi modi di confronto, di diffusione e conoscenza dei testi. Noi tutti, se vogliamo, possiamo essere protagonisti del nostro tempo.

Ivan Crico – Antonio Spagnuolo perché esentasse? Non sono mica soldi versati in nero. I concorrenti fanno dei bonifici facilmente controllabili. Comuni, associazioni o case editrici sono obbligati a dichiarare queste entrate.

Bruno Di Pietro – Se ci fosse un premio senza giurie di “dotti medici e sapienti” di “accademici con pulpito in perenne servizio” di “controllori controllati a incrocio” e magari “senza tasse” lasciato al piacere e al gusto del lettore forse mi divertirei pure. Fra i lettori naturalmente.

Carlè de Falco – Concorrere può servire a misurarsi e a farsi conoscersi. Ma concorrere ad oltranza, soprattutto lì dove tocchi pagare, appaga solo una narcisistica volontà di vetrina che poco ha a che fare con l’arte.

Enrico Bugli – SONO COSE SOLO PER DILETTANTI.

Marisa Papa Ruggiero – I dilettanti, cioè gli illusi, servono, (eccome!) a sostenere finanziariamente il premio con le tasse richieste, premio che andrà poi non al “migliore” ma, per pura strategia politica, e lo sappiamo fin troppo bene, al GRANDE NOME di turno (sono sempre e solo loro che collezionano tutti i premi piccoli e “grandi”) che dia lustro e credibilità al premio stesso. Dove sta la motivazione artistica? A chi interessa?

Carlo Bugli – Non condivido una visione agonistica dell’arte.

Vittorio Orlando – NON SPOSTO UNA VIRGOLA: È UN ASSIOMA.

Flavio Almerighi – 90% mafie 9% raccomandazioni 1% pastette.

Aldo Zolfino – Ciao caro amico e collega Giorgio Moio, la pensiamo come te e anzi se fosse tutto gratis sarebbe + super partes la critica e la vittoria.

Ciro Ilario De Novellis – Grazie Giorgio per aver introdotto questo discorso importante. La mia esperienza personale mi porta a essere d’accordo con Preziosi; alla mia età, infatti, ho potuto trovarmi da ambo le parti di questo “gioco”. Due volte sono stato chiamato come direttore di giuria, e una volta ho dovuto impegnarmi non poco per stabilire una parità di condizioni di giudizi e di votazione. Poi due volte ho partecipato come candidato e considerando la qualità del podio, devo accettare il risultato deludente. La questione allora si pone nella professionalità dei giurati, che se avvertono imposizioni o tiratine di giacca, o estremamente disaccordi nel giudizio degli altri giurati, dovrebbero avere il buon senso di uscire dalla giuria, non metterci più piede, se non addirittura denunciare, annullare il concorso, anziché limitarsi a non firmare e basta. C’è sicuramente da considerare l’importanza per i giovani, soprattutto, che hanno tutto il diritto di trovare e provare confronti, e soprattutto aprirsi alla platea del poieo, per capire o capirsi e per crescere direi. Beh la retta poi, come si fa a pretendere che non ci sia un minimo di spesa. Nel silenzio inquietante delle istituzioni, nell’ignavia della politica di questo paese, l’impegno culturale di pochi valorosi, credo sia una sussidiarietà assolutamente insufficiente. Con tutto il rispetto per i poeti di un certo spessore e per il valore che esprimono, credo siano pure importanti le sorprese che ci serbano le nuove “avanguardie”. Con tutte le loro acerbità che li caratterizza, sono i giovani la voce vivente della poesia dei grandi.


 

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Grazie per aver votato!

3 Risposte a “A cosa serve un premio letterario?”

  1. Ho vinto alcuni premi senza essere raccomandato e senza conoscere i giurati .(Premio ” il convivio” giardini di Naxos) Vi posso assicurare che si occupano con serietà del lavoro che svolgono! Ma credo che alla fine , a parte il momento di gioia, dopo torna tutto come prima ….. “il nulla” assoluto!

  2. Scusate tutti. Io non ho conoscenze di nessun tipo eppure qualche concorso lho vinto, anche se uno solo con premio in denaro. Di solito mi iscrivo a concorsi gratuiti e ce ne sono.
    Mi sono sempre mantenuta ben lontana dal Premio Luzi, per carità!!!!!
    Ma se pubblichi un libro, anche autopubblicato, devi presentarti al pubblico con qualche premio vinto, mi pare. Ho un curriculum di cinque pagine enon me ne vergogno

    1. Non ci si deve vergognare, assolutamente! Ma la questione non è questa: non è obbligatorio presentarsi al pubblico con qualche premio vinto: Il pubblico (meglio il lettore) vuole leggere una buona letteratura, no la sfilza di premi (spesso irrilevanti, inutili ed assegnati ad amici) in una biografia. Se si vince il Nobel, beh, allora è un altro discorso! E anche in quel caso – se vogliamo dirla tutta – la meritocrazia latita abbastanza.

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