CLAUDIA PLACANICA*, La lotta poetica continua – mostra di Elena Marini

Passaporto anarchico n° 3033

 Questa è l’epoca della contaminazione e la poesia visiva, ibrido per antonomasia, ha ancora molto da fare.

Gli SPOT di Elena Marini inchiodano lo sguardo, indotto a decostruire i contenuti del mondo multimediale, per superare le barriere in direzione di un concetto inedito che nasce da un progetto che spezza i nessi di causa-effetto. Non c’è Arte senza idee. E le idee di Elena Marini sono di costante sovversione, di capovolgimento dei mondi illusori evocati dai media. L’artista è una lottatrice poetica la cui opera spinge verso una percezione del reale che, audacemente, si esprime fuori dal linguaggio pittorico che, ormai logorato, innescherebbe una velleitaria competizione con i mezzi di comunicazione, compromettendo l’idea sovversiva che sta dietro ai suoi collages. Gli SPOT sono forma militante di “sabotaggio affermativo”, perché, “nel sabotaggio affermativo […] tu osservi, impari come funziona la macchina e poi fai in modo che lavori contro l’obiettivo che aveva prima. Significa conoscere il meccanismo, partire da una posizione di forza, non di debolezza”(1). Oltre che di una componente sovversiva e anarchica, le giustapposizioni, opposizioni polari, si fanno portatrici di una lapidarietà quasi assertiva, una forma non snobistica di sprezzatura (vedi in particolare lo SPOT n° 231). Ma la sprezzatura, sistematizzandosi, diviene carattere e stile. Partorita dalla consapevolezza di una donna che ha scelto di vivere l’/d’arte, diviene sfida ardita in questo tempo di travet con i pennelli e uno stipendio sicuro ogni mese. La componente ironica, invece, più convenzionale nei collages, innesca la riflessione sulla trasfigurazione di un soggetto in oggetto, sulla metamorfosi pornografica di soggetti codificati dai media alla stregua di categorie. E la sua arte, come un bisturi, rovescia le identità collettive percepite come categorie univoche, fisse, compiute. I soggetti trattati, infatti, sono per lo più quelle categorie non rappresentative nei confronti dei soggetti che dovrebbero rappresentare, ma che il mondo dei media descrive anticipandone le pulsioni e saturando lo spazio retinico (le donne, i bambini, il maschio virile e, più recentemente, l’ambiguo). Il linguaggio spoglio di orpelli ci fa avvertire come uno stupro le semplificazioni e le generalizzazioni prive di supporto concettuale/teorico tipiche della dimensione patinata delle riviste di moda e della pubblicità.
La schisi tra la necessità di promozione di un prodotto e la volontà di non prestarsi a vittima, a target delle logiche della società consumistica ha un detonatore nell’ibridazione tra arte e letteratura.
In tal modo l’opera fa emergere quella dimensione comunicativa del linguaggio di
tipo strumentale e analitico. L’artista unisce due oggetti contrari e complementari rendendoli un’unità. Sicuramente l’azione eretica degli SPOT presuppone, come già nella poesia visiva in generale, un’attività multimediale e sinestetica. Ma qui si avverte un’insofferenza per la riduzione dell’essere umano a un progetto di omologazione: quale feedback altrimenti potrebbero presupporre i n° 250 e 166, entrambi recanti la scritta “Copia conforme”?

Le contraddizioni della società contemporanea ricevono lo stigma del montaggio che rende l’opera della Marini – come osserva Sarenco – più cinematografica che narrativa. Un montaggio che esplora un linguaggio sempre più adatto alle mutate istanze culturali, ma sempre al servizio della mente. Le giustapposizioni sembrano riconnettersi all’idea del montaggio di Ėjzenštejn, quello con cui è possibile scuotere chi guarda attraverso uno shock visivo che lo coinvolge con emozioni e nuove associazioni di idee tali da renderlo fruitore attivo. La poetica militante e di lotta è quella per cui, ogni SPOT, diviene un’inquadratura inedita, dura, rapace o incongruente che ci mette dentro un sistema che si sottrae al piacere estetico a favore di una duchampiana “interpretazione ausiliaria”. L’ibridazione in cui si inscrive la poetica della Marini è tutta focalizzata in un contesto in cui i gesti, le pulsioni, gli accordi, le immagini si dissociano dalla linearità del messaggio: la soluzione è all’interno della dimensione caotica che trasforma un’immagine ferma in un evento dalla forza dirompente. Forse, più che di giustapposizioni, sarebbe più appropriato parlare di “accoppiamenti”, in cui l’atto copulativo sancisce la morte della persuasione e dell’individuo-consumatore. Ogni singola opera si struttura sovvertendo il sistema linguistico, tradizionalmente asservito al sistema neoliberista che, attraverso i mass media, piega la comunicazione a un progetto immorale basato sulle menzogne e l’illusione di un’opulenza eterna. Il montaggio destabilizza il significato dissacrando il significante che ripristina la funzione informativa e comunicativa ma in un nuovo spazio in cui i conflitti espressivi, l’accordo/disaccordo dei corpi umani che dicono “nel loro inarticolato e ossesso linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicità, le ‘cose’ della televisione o delle réclames dei prodotti”(2) sono percepiti come la destituzione della vita reale. La poesia visiva della Marini smaschera il vecchio e qualifica il nuovo che nasce dalla necessità di trasformare il vecchio e farlo nascere su nuove basi. Avviene attraverso una riflessione lacerante, atta a scuotere, anche con violenza. La forma, che privilegia un montaggio delle attrazioni, vede il poeta come un regista atto a riprendere e poi congelare la sua visione in un frame-stop allucinato. Il corpo e il volto umano, spesso in primo piano, sono la superficie su cui si stratificano le contraddizioni della realtà. E questo è quasi un crisma formale della Marini. Come un crisma formale è la ripresa ravvicinata dei gesti e dei simulacri di quei corpi.

Nello Zeitgeist che vede la Marini tutto è disordinato, incompleto, scomposto e tocca al fruitore ricomporne il senso. Il fruitore degli SPOT viene assimilato al majakovskijano “tagliente come un eccomi” (SPOT n° 137): stimolato nella sua immaginazione e attraversato da un sentimento di inquietudine, può decodificare i segni generando una verità che era stata spinta fuori dai confini. E, parafrasando Thomas Stearns Eliot:

Siamo gli uomini vuoti

Siamo gli uomini impagliati

Che appoggiano l’un l’altro

La testa piena di paglia. Ahimé!

(1) Gayatri Chakravorty Spivak, Questa è la vera lotta di classe su “L’Espresso”, 16/07/17 
(2)      Pier Paolo Pasolini, Il discorso dei capelli sul “Corriere della sera”, 1973

* (author, educator e analyst avantgarde)

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