CARMEN MOSCARIELLO, Ugo Piscopo è un creativo


«Ugo Piscopo è un creativo di altissimo valore, è un critico delle arti, delle lettere di impareggiabile finezza, un faro della cultura… mio maestro».

Aniello Montano, in modo mirabile e con poche parole, ci dice chi è Ugo Piscopo.

Aggiungiamo che egli è anche un uomo mite, rispettoso delle voci umili della natura, un punto di riferimento per il mondo culturale, in particolare di quello meridionale. Attento e severo nelle sue acute analisi letterarie e sociali, cultore della parola poetica, appassionato amante delle creature animali (Quaderno a Ulpia), delle teneri erbette (haiku….), coccolate in teneri mani, confortate e conforto per inarrestabili dialoghi. Il Poeta è anche uomo ben inserito nel mondo, con occhi aperti e pugni chiusi, osserva denunzia lotta per un mondo più umano, per il rispetto dei più deboli. Ha orrore della volgarità, del potere ridotto a sopruso, delle vuote intemperanze di certi potenti, denunzia con coraggio una politica corrotta che ha perso di vista il bene comune (Le Campe al Castello).

Piscopo è stato a lungo uomo di scuola, educatore nei licei e nelle università, ispettore scolastico, scrittore di eccellenti testi scolastici che si sono rivelati come veri best seller. È un irpino e di quella razza montanara ha tutti i pregi: determinato, coraggioso, onesto, una scorza dura non scalfibile. È un Giano bifronte: mansueto e puro; determinato e indomabile.

L’intellettuale è accorto studioso del mondo classico che è stato da lui totalmente rielaborato e riproposto, in modo del tutto personale, in un quantitativo dei suoi scritti.

In sé ha uno spirito rivoluzionario, sicuramente giovane contestatore (sempre a difesa dei più deboli) in terra straniera ha conosciuto anche il carcere (per pochi giorni). Ma il segno grande che Piscopo lascerà nella storia è da ritrovare nella sua scrittura, creativa, dice giustamente Montano, rivoluzionaria anche.

In essa vive il suo anelito alla libertà, l’insofferenza ad ogni postura, l’insorgenza ad ogni limite. Qui giocando come il gatto col topo, allunga zampate unghiose, ha smembrato coscientemente una lingua, ne ha ricostruita una bene attillata al suo animo, al suo carattere ai suoi valori di uomo onesto che scrive non per divertissement, ma perché crede che lottando qualcosa può cambiare (l’appello lo rivolge soprattutto ad altri intellettuali; non crede assolutamente che questa classe politica possa intendere qualcosa di giusto per il Paese e per i cittadini).

La sua passione ha radici profonde. Gli occhi spalancati sul mondo lo portano a comporre cantate di dolore nei graffi struggenti della parola poetica.

 

I furori iconoclastici del poeta

L’opera di Piscopo, oltre che raffinata ed esperta tessitrice di neologismi, ha una profondità sapienziale rivolta non solo all’uomo, ma alle tante culle del celo, anime del mondo peregrine e intense non meno dell’esperienza umana. Piscopo rivoluziona i rapporti che da sempre hanno caratterizzato la storia dell’umanità e sceglie cieli di terra dove i fiori germogliano. Creatosi con studi accaniti e amati del mondo classico, scardina l’epicentro umanistico e crea infinite sfere per l’umana sede. La sua profonda meditazione sull’uomo lo catturerà a lungo, ma ad essa si affiancheranno la ragazza con mantello di cane (Ulpia mia), o d’altra selvatica verzura (Quaderno a Ulpia; Haiku del loglio) opere significative che nelle sue numerose pubblicazioni assumono sempre più una certezza del poetare e dell’essere. Si sposta dunque l’epicentro del mondo. Nonostante: brunianamente disegna un mondo senza limiti, dove il più e il meno non hanno ragione d’esistere. Ogni abitante del mondo ha diritto ad esserci, anzi ad essere amato. L’uomo coltissimo, al quale ci troviamo di fronte, ha creato con la poesia un diapason che vibra al massimo grado.

La scompaginazione che Piscopo apporta alla poesia riguarda sia la parola che il contenuto, soprattutto questo: spiazza l’uomo, scagliandolo spesso in posizioni marginali, e crea nuove centralità che risultano di tale raffinato interesse da chiudere il lettore in un’atmosfera magica dal la quale non vorrebbe più uscire. Opera una rivoluzione giordaniana di tutto rispetto, ci apre luoghi mai esplorati dalla mente umana o meglio mai guardati con quegli occhi di umano rispetto e amore. Apparentemente la sua poesia nulla ha a che vedere col grande Santo d’Assisi eppure nella nicchia, se ben si guarda, c’è la stessa passione, la medesima tenerezza del Santo per il lupo di Gubbio.

Anche le umili cose hanno nel suo pensiero e nella sua vita un ruolo eletto, animate dalla sua carezza di poeta. Sbalordisce per tenerezza la sua opera poetica Quaderno ad Ulpia la ragazza in mantello di cane, qui amplia il suo sentire fino a divenire un canto universale, che comprende una corale sinfonia per appartenenze metafisiche.

Si muovono nelle sue scritture deformate, nei suoi testi di oggettiva libertà, (Adorno) accenni crepuscolari, passaggi ombrosi, corridoi di collegi con luci nebbiose, ma anche ironia, gioioso amore per la natura, feroce condanna per una vita che ha perso il senso.

Pur tuttavia il suo patrimonio di scrittura attraversa differenti meriggi: domina fin dall’inizio il desiderio di allontanare da sé ogni ipocrita culturalismo, nozionismo, apparentismo. Tenero nella sua accoglienza delle fraterne presenze della natura, graffiante e ironico per i solstizi inquinati dalla mano e dalla mente dell’uomo.

Piscopo nella sua mitezza è uomo di grande carattere, sceglie con cognizione di causa e procede esperto e rivoluzionario nella sua parola.

Un elemento inconfutabile è il suo sperimentalismo che si traduce in urgenza di adattare la parola alla vita, farla guizzare in modo che il lettore possa sentire un fremito nelle ossa. Adora le parole ricche di consonanti forti, con “z” ,”T”, “R”, quasi che il dialetto stringato dell’Irpinia lo aiuti a meglio configurare il suo pensiero.

Non credo che si possano separare i suoi diversi ruoli di poeta, giornalista, critico, storico dell’arte e delle letterature, pedagogista, professore, drammaturgo.

Sono componenti impegnative che determinano un’identità particolare, dove la ricerca accurata del dire, spinge il suo spirito creativo a coniare parole variopinte, gerghi arcaici, suoni atonali, composizione dadaiste con note di Satie, e nello stesso tempo onomatopee, zurlando suoni espressionistici.

Plurilinguista, sa fondere i diversi sentire che la corrente vivace del suo pensiero ripropone con accattivante originalità.

Chi si avvicina alla sua poesia e anche ai tanti suoi scritti critici rimane affascinato dal gusto dello scrittore nel coltivare piante vigorose di analisi e di critica. Tutto è scritto ed è frutto di profonde riflessioni che hanno radici in pietre dure che non temono i terremoti. Dunque, parola e contenuto non sono dualismi che si rincorrono, piuttosto conseguenze ben disegnate: una tesi e un’antitesi che danno fuoco a urgenze, ma anche testimoniano studi che hanno creato un pensiero con il quale il mondo culturale dovrà confrontarsi a lungo.

Egli è quel nuovo a cui la Poesia aspirava fin dalla fine dell’Ottocento, è la liberazione da quel “tartufismo” del verso che aveva determinato la caduta della scrittura a volte in burroni fangosi che ne potevano determinare anche la morte.

Nasce nell’Irpinia verde, la terra dei lupi, esattamente in un piccolo lontano paese a Pratola Serra nel 1924. Qui pose l’origine dei suoi pensieri e della sua educazione. Luoghi che vibrano nelle sue parole e attraversano gran parte delle sua poesia. Essere irpino per uno scrittore ha un suo valore e Piscopo parla e scrive con orgoglio del le sue origini; chi nasce in questa terra ha conosciuto anche un mondo arcaico, nodoso, aspro, melanconico e amaro; trasformare quelle radici in canto, in cultura eletta, in raffinata dedizione all’uomo (docente di molte letterature e pedagogista) non è da tutti.

Quelle terre amare, coperte dal freddo dei terremoti possono lasciare segni indicibili, il Poeta li porta in sé, rigenerati in sogni, come un’urgenza alla quale non si può soprassedere: la passione per lo studio lo obbliga a lasciare la sua casa quasi bambino, studiare fuori dal proprio paese, non lasciarsi scoraggiare da impedimenti materiali a volte insormontabili.

L’amore per il mondo antico lo ha poi accompagnato per una vita intera, esso lo ha attraversato in ogni sua fibra invigorendo uno spirito assettato, bisognoso di un approdo oltre che culturale, umano.

Queste componenti per chi nasce Poeta non sono semplici e rugose pagine di vita da sfogliare con sveltezza e accantonare in spazi limitati.

Queste origini fermentano come acini d’uva nella formazione dell’uomo-poeta e determinano creazioni coraggiose, comprensive dell’umano sentire e tenera voce per chi soffre.

In una delle sue ultime opere, Le Campe al Castello, si legge tutto questo: l’uomo si ribella alla volgarità dei tempi e denunzia il malaffare; il fermento del mosto si trasforma in vita che non si arrende.

Il Poeta ci insegna che le cose possono e debbono cambiare. I piccoli grimaldelli non reggono all’occhio attento magrittiano che si apre sull’universo per succhiarne ogni minima vibrazione, che vigila sugli umori della società.

Le tensioni del male non si appianano, né si nascondono, il simbolismo de Le Campe al Castello elabora una denunzia coraggiosa contro la corruzione dei potenti, irride alla tronfia volgarità, scrive su lavagna nera gli inganni, le bugie, gli arricchimenti frutto di latrocini non puniti, tutto ciò che è sottaciuto, qui prende forma.

L’intellettuale attento non vive solo sui libri, né la sua scrittura è unico approdo, ha il mondo dentro che guarda con crudo realismo. Egli può commuoversi al cospetto di un frutto della natura, di un odore che viene dalla terra-madre, ma sa anche dare frustate violente quando sono necessarie. Non si nasconde niente; il miracolo continua davanti allo spettacolo del cielo, di una foglia sdrucita dall’autunno, di un cane da accarezzare a sera e a mane, e poi le pietre con esse ha colloqui intensi d’amore.

Per quanto detto rimane impossibile dare un’unica definizione dell’opera di Piscopo, a volte sembra che la sua scrittura racconti un naturalismo vibratile, un realismo metafisico come dice Stefano Lanuzza che attraversa i vicoli antichi dei paesi irpini, le loro arcane usanze, il loro maldestro rapportarsi al mondo, le loro campane, i canti dei lupi, e l’autore lo fa con strumenti rabdomantici, fascinosi, generando un naturalismo jonasiano che elimina la dualità uomo-natura e si apre come rosa di maggio nella polarità dell’essere.


Biografia di Carmen Moscariello


 

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