CARMEN MOSCARIELLO, Renato Filippelli. Nove anni dalla sua morte. Un cammino in poesia e in preghiera


                                                                                                              (Se hai per amico un Poeta)

 

Ho molto paura della morte e ancora di più dei morti, non sono mai andata a salutare  o baciare una persona morta, l’unica volta che l’ho fatto è stato per Filippelli.

Quando la sera del 20 maggio 2010 mi telefonarono dicendomi che Renato non c’era più, mi sono precipitata all’ospedale Dono Svizzero di Formia per accertarmene, non credevo alla notizia, anche perché fino a qualche giorno prima avevamo lavorato insieme per interi pomeriggi per preparare lo spettacolo “Gli Alumbrados” che si era tenuto  al Castello Di Minturno, in quella occasione a me dedicò la sua ultima poesia scritta per  Giulia Gonzaga.

Non solo ci vide impegnati questo lavoro, ma avevamo tenute le riunioni per il Premio Sebastiano (detto il Minturno) e avevamo definito i verbali e i vincitori sotto la sua guida (Assente alla premiazione).

L’avevano già composto nella bara, c’era il figlio Pierpaolo, sconvolto, figlio che Renato adorava; la moglie Mimma al suo capezzale, e qualche amico che come me aveva saputo della notizia. Furono giorni orribili, soprattutto per la sua famiglia che egli aveva amato sopra ogni cosa. Per tutto il Sud Pontino è stata una perdita che ha depauperato il territorio. Egli era una guida per tutti noi!

La nostra amicizia durava da quarant’anni, a me confidava ogni suo pensiero, ancor di più durante la malattia, non  l’ho mai trovato spaventato o in condizioni di frustrazione, l’andavo a salutare tutte le settimane e si lavorava come se il futuro fosse ancora tutto da venire.

Quando io mi trovavo da lui lo telefonava spesso il prof. Giuseppe Limone, grande amico del Poeta ed egli stesso poeta. Continue le telefonate del figlio Pierpaolo, grande magistrato, del quale Renato era orgogliosissimo. Mi chiamava la mattina alle otto per pregarmi di portargli i giornali, poiché c’erano due pagine dedicate al lavoro del figlio. A scuola eravamo un’unica voce, abbiamo insegnato per trenta anni insieme al magistrale “Cicerone” di Formia. Quando io ho ottenuto la cattedra di Italiano e Latino in quella scuola egli aveva più di quarant’anni, era già molto famoso e in contemporanea aveva la cattedra di Italiano al Suor Orsola Benincasa. Posso dire che egli mi ha insegnato a scrivere, a leggere e capire la poesia. Quando ho iniziato a fargli leggere i miei versi era molto severo, pur sapendomi permalosa, mi diceva quello che pensava, senza mediare. Quando mi regalava i suoi libri di poesie mi diceva con voce severa “leggili”.

Ho tenuto per la sua poesia tre corsi pomeridiani, frequentatissimi, soprattutto dai giovani, le alunne e gli alunni l’amavano; ancora oggi, con orgoglio dicono: «Io sono stato alunno di Filippelli».

A scuola cercava di non far pesare la sua grandezza, non interveniva mai nei collegi, (era sempre presente) ascoltava, senza replicare. Eravamo così amici che negli spazi liberi tra un’ora e l’altra passeggiavamo per ore nei lunghi corridoi della scuola, ci raccontavamo tutto delle nostre vite e del variegato mondo culturale. È stato lui a farmi conoscere il poeta Elio Filippo Accrocca, Francesco D’Episcopo, Giuseppe Limone, Domenico Rea, Michele Prisco (l’ultima assidua presenza nella sua casa di Scauri); ultima persona che mi ha presentato è stata Maria Luisa Spaziani (era ospite a Formia per  presentare il suo libro su Giovanna D’Arco, ci recammo insieme al Grande Albergo Miramare di Formia per renderle omaggio e per regalarle il Tomo dell’Enciclopedia, dove Filippelli aveva scritto di lei e di Montale (Io ero la volpe, lui l’orso), ci trattenemmo a lungo e la Spaziani recitò per noi “l’anguilla”, (la conosceva tutta a memoria ). Quando andammo via mi disse: «Ha ancora delle bellissime gambe!». È stato lui ad inserirmi nelle commissioni di moltissimi premi, dove egli aveva il ruolo di Presidente.

Avendo io scritto per quindici anni per «Il Tempo» e, Filippelli, conoscendo  la mia natura propensa a mettersi nei guai con articoli spesso diretti contro la camorra o contro uomini politici potentissimi, mi ha sempre difeso, mettendosi a baluardo contro tutti e contro tutto; fino a pochi giorni prima della morte, ha scritto per me una perizia giudiziaria a difesa di un mio testo poetico; aveva seri problemi alla mano destra e lo fece redigere sotto la sua sorveglianza alla figlia Fiammetta. (Gli sarò grata in eterno!). Questa sua generosità e questo suo sovrumano amore per la giustizia e per i più deboli non l’ha mai abbandonato. A scuola tutti noi l’adoravamo.

Ricordo che in uno dei miei ultimi incontri con lui, mentre gli leggevo i versi degli “Alumbrados”, ad un certo punto, lui che non si poteva più alzare, fece un grande sforzo e mi abbracciò, dicendomi: «Sarai  una grande poetessa!».

Rimane per me una presenza viva, un maestro d’umanità incomparabile, parlo con lui come se fosse vivo e gli chiedo aiuto come se potesse ancora soccorrermi.

Ma ci ha lasciato un ultimo dono al quale tutti noi possiamo attingere: i versi della sua malattia, pubblicati postumi dall’adorata figlia Fiammetta (la più simile a lui, donna di grande cultura e umanità). L’opera è stata titolata Spiritualità (Guida Ed., 2012,[1] segna passo dopo passo il velo luminoso della sua vita di uomo e di poeta, egli ha voluto ancora donarci quest’ultima gioia. Nei versi si consegna felice alla sua famiglia, non un singhiozzo per la sua malattia, l’opera ha come protagonista la moglie, i figli, la vecchia suocera, un passerotto, la morte del fratello maggiore e della nipote, un’opera che si apre al cielo, la parola è luminosa come una cometa portatrice d’Avvento. Una vita che non si chiude, che non ci abbandona, tutt’altro l’abbraccio è un velo bianco corolla di sposo alla parola del Vangelo e al percorso che l’uomo ha fatto durante la sua vita.

Ha pubblicato infiniti libri per le scuole superiori, famosa e fortunatissima la sua grammatica di Italiano, L’italiano com’è (Il Tripode, prima edizione febbraio 1980; a seguire 1983, 1986; credo ci siano state 20 edizioni[2] di questo capolavoro).

In tutte le antologie e le letterature che ha pubblicato ha riservato una spazio alla mia poesia, prima di morire mi disse che stava lavorando a una nuova grande antologia e mi promise con gioia che ci sarebbe stato spazio per tutte le mie opere, aveva già pubblicato da alcuni anni un’enciclopedia in sette tomi della Letteratura italiana, affiancata dai testi antologici curati dalla figlia Fiammetta. Un lavoro immenso “che mi ha fatto ammalare…”[3].

Naturalmente, tutte le mie alunne hanno studiato sui libri di Filippelli, grazie ad essi, agli esami di Stato alcune di loro ottenevano valutazione che superavano l’otto, anche il dieci. Naturalmente c’è sempre qualcuno che la pensa diversamente: uno dei miei ultimi collegi docenti per la scelta dei libri di testo, durò fino alle quattro del mattino, ma alla fine tutto il Collegio votò a favore della mia proposta. (Filippelli era orgogliosissimo di questo fatto e lo raccontava a tutti!). L’enciclopedia ha avuto così grande fortuna da essere recensita più volte sul «Corriere della Sera» e su infinite riviste specialistiche, è tuttora adottata in  numerosissimi licei; questo splendido capolavoro possiede una scrittura creativa così eccezionale che in un breve periodo (tre righe) ti dice tutto del personaggio da studiare.

È stato un uomo buono che soprattutto nell’ultimo decennio della sua vita ha ricercato Dio nella via della Croce. Ho confessato al figlio Pierpaolo che nei lunghi colloqui che ho avuto con lui, soprattutto negli ultimi anni prima di morire, avevo chiara certezza che avesse intrapreso la strada di un’assoluta spiritualità, quasi un percorso da lui stesso segnato verso il Golgata. L’anima sua pulita, la sua tenerezza per le creature del mondo, il suo animo generoso, la sua furiosa onestà, la difesa della sua dignità e del decoro degli uomini tutti, lo hanno portato a dare soccorso a  tutti coloro che  glielo chiedevano.

Ho conosciuto Renato Filippelli all’età di 25 anni, da lui ho appreso il severo percorso della poesia, ho insegnato con lui per ben trent’anni (beati gli alunni che hanno goduto del suo sapere), l’ho sempre considerato come un Dio, nonostante gli scontri durissimi, per le nostre due personalità incandescenti. Molti miei libri portano la sua prefazione o sempre una sua generosa e preziosa testimonianza. Tutt’ora provo disagio e dolore a non averlo al mio fianco nelle premiazioni del “Tulliola” e negli eventi culturali  a cui partecipo. Egli è stato Presidente del “Tulliola” fin dalla sua nascita, nonché membro fondatore insieme a me dell’Associazione “Tulliola”, a lui oggi ho titolato il “Premio Tulliola- Renato Filippelli”. Grazie alla sua prestigiosa figura di Poeta, professore universitario stimato, oggi il Premio, che nei primi tempi appena costeggiava le spiagge di Gaeta, è divenuto Premio internazionale ambito, con più di mille poeti e scrittori partecipanti non solo dall’Italia. Oggi è alla sua XXV Edizione e il  Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’ha premiato con una medaglia preziosa, per gli alti meriti culturali conseguiti.

Egli ha amato la poesia sopra ogni altra cosa, è essa che oggi dopo la sua morte, ci mantiene vicini   alla sua anima profonda. Spiritualità è un trait d’union con il suo cuore, quest’opera è guida per la sua amatissima famiglia, è consegna d’amore per tutti loro, ma anche messaggio per noi, poiché in questi versi le vele di lino della sua poesia costeggiano gli infiniti orizzonti di ciò che nella vita conta davvero. Determinante, a tal punto, la poesia nella sua vita, che anche quando la morte aveva calato le sue carte, (lui aveva ben capito), non un lamento, il  suo cuore inossidabile scriveva ancora e Spiritualità è frutto di questi giorni in cui, si tiravano le somme, si guardava nelle fessure del tempo, ci si interrogava sui tanti tracciati che attraversano come vene azzurre la vita di un uomo. Fino all’ultima sua ora egli mi parlò della sua terra, (era nato a Cascàno di Sessa Aurunca nel 1936), dei suoi genitori, della speranza che i suoi figli potessero amare quelle zolle, come lui le amò e cantò nei suoi versi, mi parlò della morte del fratello, della morte della piccola nipote, sembrò che il colloquio con i suoi morti, sempre presenti nella sua poesia, divenisse più intenso, soprattutto con i suoi genitori, la madre è stata spiritualità viva negli ultimi mesi della sua vita terrena. Nella sua casa, a Scauri trionfa la foto del nipote che porta il suo nome e per il quale voleva vivere fino all’ultimo attimo, seppur nel dolore della malattia, me lo indicava con orgoglio e con amore straripante. A Fiammetta, scrittrice di indubbio valore, ha lasciato il compito di curare la pubblicazione dei suoi ultimi scritti e lei lo ho ha fatto con la devozione di sempre, (quante volte ho raccolto le sue lacrime, soprattutto negli ospedali romani, quando aveva compreso che quello che era successo era un colpo insopportabile per il padre). Millenaria Spiritualità dove il presente, il passato e il futuro hanno la fragranza di quel pane di San Giuseppe (p. 27) che intreccia ai baccanali dell’uomo la devozione per la vita. La sua poesia è una spiaggia di bianca organza che ci lega al sovrumano e alla bellezza della vita.

________________________

[1]  Due importantissime opere sono uscite postume, a cura della figlia Fiammetta: Spiritualità, p. 50, prefazione di Raffaele Nogaro e Renato Filippelli; Tutte le Poesie, pp. 527, prefazione di Emerico Gyachery, postfazione di Francesco D’Episcopo, Gangemi Editore, maggio 2015.

[2] L’opera è dedicata ai figli Fiammetta, Pierpaolo, Chiara.

[3] L’enciclopedia a cui faccio riferimento è L’eredità Letteraria (Simone Editore). Di questa immensa opera sono stampate quattro edizioni: 2004; 2005; 2006; 2007.


Biografia di Carmen Moscariello


 

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.