BRUNO CONTE, Giovanni Ibello, la poesia e il culto della rastremazione

Ogni voce, quale che sia il tono, può essere autentica se non è maniera, se non è imbrigliata dal fascino di un’altra voce che gli manca. Un errore, quello del “mischiamento” di maniera, che Giovanni Ibello, napoletano, classe ’89, nella sua raccolta d’esordio Turbative siderali (Terra d’Ulivi, Lecce, 2017) non compie, anzi: il poeta riesce a dipanare la “sua” voce senza confondersi, con una precisione e una profondità di scavo considerevoli, da veterano. Difatti, anche Tomada, nella postfazione al libro, evidenzia per primo quest’aspetto, ovverosia di quanto e come il lavoro di rastremazione del mandato poetico sia stato finemente curato. E questi versi «Se non vuoi arrivare alla lacerazione/ non dire una parola/ che sia una», sembrano attestarne l’importanza e la misura perimetrale del fare poesia di Ibello. Una scrittura concava, così ostinata nella sua ricerca nominale che, per definire le cose intorno («È questo il destino dei corpi:/ le amnesie lunari/ la lesione tellurica del buio./ Mai nessuno/ci ha chiesto di essere vivi»), testimonia un’urgenza, una necessità di modulare e interrogare la realtà attraverso uno sguardo inflessibile, a strapiombo («Il diaframma/è sotto l’arco del giorno/lo vedi /l’ultimo rantolo del sole?/ Questo è l’anatema della terra/la nuda prigione/di un costato»). Ibello è un poeta lirico, senza giochi di forma e di significato, senza impalcature di sostegno. È predicativo, custodisce la lezione di maestri dell’assolutezza del verso come la Rosselli e gli amati e incorruttibili russi del primo novecento (da Esenin a Mandel’stam), trasalendo nel vuoto, denso e strangolato, dei suoi temi siderali (la parola, la fine, l’amore e la Napoli residenziale) come “un portatore di fuoco” (citando Salvia, altro autore deflazionato da Ibello in certe fenditure lessicali come «E sarà bellissimo/ come un’idea/ il graffito di dio” o anche in una lirica iniziale “Non scrivo di silenzio, ma di vuoto./ Scrivo dell’acqua mentre scola/ in un reticolo di nodi e feritoie»). Temi, poi, che si legano sinotticamente per anabasi, coartando quasi il lettore a sentire, più che conoscere, un distacco e un dolore di fondo dissotterrato, che si avverte in alcune splendide poesie come questa, l’ultima della prima sezione:

 

Quando tutto sarà finito

sarà il sonno a irrigidire gli occhi

ma prima della fine

c’è una retrospettiva lenta dell’infanzia

una campionatura degli amori.

Poi il respiro si risolve

in un orgasmo neuronale,

è come un’implosione

di pianeti nella mente

una turbativa siderale

del corpo che ritorna seme

 

Del resto, le prime due parti del libro, le più ispirate e liriche, sono collegate sottotraccia dalla richiesta forte di rispondere al trauma dell’essere vivi, in un mondo piegato dal sentimento della fine. E Ibello, nel pronunciarsi a riguardo, mostra anche una postura filosofica notevole (Nietzsche su tutti) poiché i versi restano disossati, senza risultare preziosi e intempestivi, come quando non ha mezzi termini nel dire «Siamo il non voluto./ Siamo l’involuto./ Il dolore che si addomestica,/ il sogno eretico di un’ordalia». Questi sono versi sintomatici di una ricerca escatologica sentita come compito nella misura in cui si prende coscienza che “Tutto si separa per venire alla luce”. Da questa separazione congenita, e dai contrasti oppositivi così frequenti nel libro, il poeta si interroga sul valore della nascita e dell’origine. La disgiunzione tra nascita, origine e fine, si dissemina, infine, nell’ultima parte del libro, “scena madre”, che impatta con occhi tristi e sgranati la sua Napoli, la madre appunto, dove «Nei quartieri residenziali/ i colombi sbucano dalle fogne/ dalle cavità del tufo/ dai tramezzi in cemento». La Napoli dei vapori petroliferi, del sole nero e dell’impotenza di voltarsi al suo destino lesionato di vittima e carnefice, in cui Ibello si muove in uno spleen asciutto, secco, composto. La sensazione è che, in chiusura, di tutte le possibili argomentazioni su Turbative siderali nessuna supera l’attestato di stima di Milo de Angelis, massimo poeta italiano, che in un’intervista inserita ne “La parola data”, colloca Ibello tra le voci emergenti più significative del panorama nazionale.

 

Giovanni Ibello
Turbative siderali
Terra d’Ulivi, Lecce, 2017

Biografia di Bruno Conte


 

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