ARMANDO SAVERIANO, La misura del silenzio di Davide Cuorvo, Manni ed., 2017

Il silenzio del titolo va inteso come categoria dello spirito, come nodo metafisico. I testi si adeguano, non volutamente, ma in modo spontaneo, al clinamen dell’entropia. Parafrasando Ilya Prigogine, una certa costante struttura dissipativa “disperde” il “disordine” all’esterno di un sistema (in questo caso linguistico), permettendo l’organizzazione di un ideario e di una rete icastica decodificabile e suggestionante.
Grossa esplosione lirica che fa da cornice al proprium, il centro concettuale dell’avventura e della poetica, come già riferito per Wallace Stevens. Una fantasmagoria di immagini che percorrono il viadotto tra realtà e sua trasfigurazione, in una “non luoghità” che si traduce nell’essere il luogo o i luoghi specifici dell’anima, delle emozioni, dei sussulti sincretici e di quelli particolaristici nell’io relazionale con l’altro da sé, il mondo, le cose, il contatto con l’al di là del percetto, almeno come brivido, come attimo, come ratta intuizione. Io credo nell’imbocco di un diverso canone, in modo opposto e complementare agli autori attuali della generazione di Cuorvo.

Il pensive boy, naturalizzato conzano (è nato a Pompei), ha una sua sigla specifica che innesca quel dispositivo misterioso presente in autrici come Luongo Bartolini e Ludovica Trimarchi, o Costanzo Ioni e Mariano Bàino, che è l’immaginazione legata al brulicare di un virtuosismo logico/a-logico, sintattico e lessicale, rappresentativi del caduceo di poeti (per far specificamente riferimento al Gruppo FBK Poienauti) del calibro di Angelo Curcio, Silvana Pasanisi, Francesca Dono, Luca Crastolla, Alessandro Fiori, Antonio Califano, Giorgio Moio, Deborah Žerovnik, Beatrice Orsini, Federico Preziosi (e stoppo qui). Una raccolta di esemplare equilibrio con degustazione della cifra d’accumulo, che conduce alla soluzione dei punti oscuri, degli angoli sghembi.

Lettura “istruttiva”, che, nel suo genere peculiare, adempie una sterzata dal convenzionale, pur essendo assai lontana dal grammelot teatral-intellettuale di Ioni, incomparabile acceleratore linguistico; vien da pensare che le efflorescenze ritmiche, tonali, lessicali del giovanotto di Conza guardino – come altrove ho di già annotato – a un simbolismo miscelato al realismo magico tra Marquez, il precursore Hoffmann, e, cinematograficamente, Alejandro G. Inarritu, o Alejandro Jodorowsky. Serpeggiante è l’unghiata d’un surrealismo adagiato sotto la coltre romantica del paradosso sfuggente.

Davide Cuorvo

La misura del silenzio

Manni ed.

2017, pp. 80 (poesia)
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