ANTONINO CONTILIANO, Per una poetica del tempo del Noi


Lascio (…) che ognuno viva a suo talento e che chi vuole morire
muoia in santa pace, purché a me sia dato di vivere per la verità.
Benedetto Spinoza (lettera a Henry Oldenburg)

 

Dichiarazione di poetica

Una dichiarazione di poetica ha una certa utilità e funzionalità sia per chi scrive testi poetici sia per chi legge. Consente di tener presente quanto il presente, il passato e il futuro dice, ha detto e anticipa, sì che il nodo temporale-storico in cui si distende-estende-tende la produzione poetica (e la sua economia semantico-politica) non è facilmente aggirabile. Intanto, e per scorcio, se il tempo in atto è quello che a vasto raggio valorizza (capitalisticamente) il cosiddetto immateriale – lingue, linguaggi comunicazione, immagini, immaginario e immaginazione, processi di formazione, forma e informazione temporalizzata … –, mentre colonizza le menti e i comportamenti individuali e collettivi de-territorializzati, ogni poetica non può e non deve (secondo chi scrive) non prendere, nel contesto d’epoca, posizione sulla forma e la funzione del linguaggio poetico (in senso generale) e di un testo di poesia specifico.

Semmai c’è l’urgenza! Se è vero infatti che nell’evoluto e dettagliato mercato mondiale capitalistico (weltmarkt, e visibile storia in itinere) è il tempo stesso che viene espropriato e valorizzato (oltre la dicotomia di tempo assoluto e relativo di produzione), l’urgenza non ha bisogno di altri stimoli e appelli. Marx (“Frammento sulle macchine”, Grundrisse) già ne aveva anticipato l’avvento come stadio naturale dichiarando il furto di tempo di ieri “base miserabile”,  e  “superfluo” l’operaio. Una virata, questa, che non risparmia neanche l’odierno operaio della parola. L’appropriazione e lo sfruttamento delle conoscenze e dei linguaggi informatizzati (knowledge e/o general intellect, il sapere sociale)  – la comunicazione verbale e non verbale, la sussunzione intera del tempo di vita (affettiva e non) e di esistenza e di cultura della popolazione, diventati “capitale fisso” senza fissa dimora –, finalizzati al profitto e al controllo servile, sono evidenza che non abbisogna di tentennamenti.

I dubbi non hanno vie di fuga e scampo. Non è improprio il fatto che, a proposito dell’ascesa dell’impresa di Bill Gates e di Google, qualcuno ha parlato del capitalismo della parola (la parola che diventa oro) e del formalismo algoritmico che nella rete del mercato web quantifica (valorizza) le espressioni linguistico-semiotiche e iconiche come merce e pubblicità. Tre sono gli algoritmi, scrive Frédéric Kaplan, che amministrano questo paradiso esclusivo per imprenditori e managers. Il primo trova le pagine che rispondono a determinate parole. Il secondo  vi assegna un valore commerciale. Il terzo quantifica il guadagno (profitto-rendita) del capitale speculativo. La compra-vendita delle parole ha tre fasi: «Un’impresa sceglie un’espressione o una parola, come “vacanze”, e definisce il prezzo massimo che sarebbe pronta a pagare se un internauta arrivasse a lei per questo tramite. […] il calcolo del punteggio di qualità della pubblicità […] è (corsivo nostro) in funzione della pertinenza del testo con la richiesta dell’utente, della qualità della pagina […] numero medio di clic sulla pubblicità»[1]. Tra il 2010/2011, il gioco ha fruttato miliardi di dollari per il marchio “Mountain View”. Il capitalismo della crisi, rovesciato in socialismo dei ricchi, così si ristruttura su un territorio fin qui ignorato o pensato impossibile: la sorgente infinita degli elementi del linguaggio e delle combinazioni illimitate.

A questo punto l’urgenza della presa di posizione non può non essere che conflittuale e di opposizione (anche informativa). Il confronto col tempo storico-materiale, piallato dalla logica della valorizzazione capitalistica sine die, non può vedere l’assenza né di una poetica – come un codice di formalizzazione – né di testi poetici che, come certe formule logico-matematiche delle scienze della complessità e del dettaglio quantistico, anticipano una realtà possibile a partire dalle figure esplicite o richiamate in absentia. Il luogo della poesia, e del suo oggetto possibile, così si dà forza propizia come tessuto che intreccia i vari piani relazionati! Nell’universo simbolico di un testo poetico, la finzione come modello e il logos (nelle sue varie accezioni di grammatica, sintassi, ritmi e logiche rettilinee e non-rettiline) infatti si meticciano e mescolano mettendo in circolo un discorso formato di verità asintotiche e di plus-valore di senso contestuale che non può essere denegato e messo da parte come superfluo e innocuo.

Leggerlo fra le parole, le righe, le immagini, le forme, i topoi e le mutazioni tropiche, gli stili e i ritmi (potremmo dirne come la struttura o il general intellect della poetica e della poiesis) è via obbligata e orientamento pratico per coglierne suggerimenti di analisi (anche nell’inconscio del testo) ed effetti di verità contingenti, biforcanti e implicati; un’azione cioè che intriga e intreccia sia chi scrive e chi legge, silenziosa sia la lettura o a vocalità performativa e perlocutiva. E ciò in quanto la cosa non è priva di conseguenze e responsabilità etico-politiche e implicazioni di rilievo nell’economia della vita. Come dire che poetica e poesia non sono mute, agiscono e reagiscono in un contesto materiale e temporale che non ha messo da parte i conflitti di classe e l’ideologia; anzi sono aumentati. La vita stessa oggi, infatti, come il linguaggio che la dice e la scrive, è im-piegata (tra le forze) come forza di produzione economica privatizzata e di consenso classista. Una ripresa recrudescente, questa lotta di classe di nuova generazione (i prosumer in concorrenza), che (vista la deriva degli stessi valori della democrazia liberale borghese, ora non più sovranità del popolo ma fascistica “democrazia conforme ai mercati”- i mercati finanziari di Angela Merkel, il pastore tedesco dell’Europa del denaro) non può non richiamare al risveglio la lotta di classe come sottrazione, opposizione e antagonismo di una molteplicità eterogenea di soggetti esposti all’emarginazione e all’assoggettamento.

Una presa di posizione dunque che nell’appello alla libertà non può non risvegliare l’impegno del conflitto antagonista rinviando la stessa scrittura poetica ai “comportamenti” linguistico-semiotici come “macchina da guerra” o condotta  testuale che, nella comunicazione di regime, crei buchi neri. I vuoti cioè che sottraggono forza comunicativa e di persuasione al potere di controllo delle politiche che, mentre criminalizzano le prassi individuali e  collettive d’opposizione, formattano regimi anti-democratici.

Un’azione, questa macchina in posizione destabilizzante che, naturalmente, nel caso della scrittura poetica, baleni pure come il fulmine di una temporalità turbolenta quanto improvvisa e pulsante come un batter d’occhio; l’evento cioè che, richiamandoci a Walter Benjamin (Tesi di filosofia della storia, VI), articoli storicamente il passato mentre ci si impossessa “di un ricordo così come balena in un attimo di pericolo”. L’attimo dell’improvvisamente non calcolabile (e non meno incisivo) e anticipante che porta alla luce delle biforcazioni, possibilità, speranze e desideri come potenza d’azioni sovversive istantanee in anticipo. E qui (per inciso, ma non caso), crediamo opportuno un richiamo alla posizione bachelardiana sul “fulmine” come un’analogia e un’allegoria utile a capire come “come” lavora la produzione poetica. Il richiamo è alla rêverie poetica del tempo discontinuo; qui, Gastone Bachelard, approssimando “surrazionalismo” e “surrealismo”, infatti lo segna come una proporzione che miscela e relaziona gli eterogenei della luce e del tempo nel rapporto del soudain l’unité scintille e le temps à petits quanta scintille, sì che il «tempo : luce  :: istante : lampo» [2].  Ci piace pensare che sia lo stesso istante che irrompe e rompe la continuità della storia del vincitori di cui parla Walter Beniamin nel tempo del pericolo.

È, crediamo, l’attimo consapevole e la volontà di agire per arrestare il pericolo, il pericolo che il futuro, e nella forma dell’hystheron proteron o dell’anticipazione, rimanga sotto l’ipoteca anticipata della sovranità dell’economico-finanziaria del debito della rivoluzione neoliberista, la rivoluzione che gestisce il capitale come denaro, il tempo come denaro e il denaro come segno. Il “segno-impotenza” – lo diranno G. Deleuze e F. Guattari, Anti-Edipo- Capitalismo e schizofrenia  – che qualifica ancora, tuttavia, lo scambio nell’ottica del denaro come l’equivalente generale (merce, lavoro e salario); il segno che non decide altro che il solo consumo passivo, mentre il “segno-potenza”, la potenza del denaro quale potere sovrano, decide e dispone senza limiti alcuni cosa, quanto e quando produrre e fa consumare nella durata juste-in-time.

Il futuro, infatti, qui, così, è reso anticipato come un presente –  il presente dell’hystheron proteron poietico – ma subordinato alla forma della valorizzazione capitalistica socializzata. Una valorizzazione non disgiunta dai poteri di guerra e di moneta che lo Stato-Capitale (capitalismo di Stato) non ha mollato e che, sovranamente, occupa identificandosi  con le istituzioni non pubbliche, quali i grandi centri economico-politici-finanziari (multinazionali, Fmi, Bm, Bce, Troika…) d’epoca. L’epoca dell’economia del debito privata e sovrana, e all’epoca, attribuendo la responsabilità dei default alle popolazioni, data come “durata permanente” (dominio di classe de-territorializzato, potere delle banche, delle borse e finanza speculativa; il mercato cioè che non ha né popolo, né nazione, né bandiera: è, come anticipato da Karl Marx, weltmarkt).

 

Citiamo.

In questa nuova sorta di hysteron proteron applicato alla temporalità economico-finanziaria ( D – denaro – a t0  e D1 a t1), Clemens-Carl Harle, riproponendo l’ipotesi di  J-F Lyotard (The Différend e Il Dissidio) – la differenza di livello tra  lo scambio finanziario (asimmetria temporale tra chi presta e la promessa/memoria/responsabilità etica di chi deve rimborsare) e lo scambio tra merci (simmetria  tra equivalenti come tra salario e forza-lavoro venduta) –, precisa che la situazione cambia. Infatti, quando lo scambio si produce e si conduce solo attraverso il prestito/credito di denaro, sebbene l’anticipazione hysteron proteron continui a conservare i tratti paradossali dell’inversione temporale tra il prima e il dopo, non c’è più equivalenza alcuna tra cose diverse. Infatti «Il credito al consumo permette di anticipare il tempo del godimento, il credito alla circolazione permette di anticipare il tempo di pagamento dei fornitori, il credito all’investimento permette di anticipare il tempo della produzione, il credito allo Stato permette di anticipare il welfare, il credito al credito (destinato alle banche) “permette di anticipare il tempo dell’estinzione del debito del debitore”».[3] Ma qui non c’è estinzione del debito; c’è un debito che si perpetua e una promessa di restituzione che impegna. Ora è in questo ambito della promessa/impegno che, secondo noi, entra il gioco di rottura  dell’hysteron proteron della poesia, l’anticipazione del futuro “mondo” liberato da ipoteche di castrazione e soggezione.

Così, tra i versi o le righe della poesia, individuandone la com-posizione tipico-semiotica, i poeti non possono allora, in autonomia di stile e critica, non lanciare linee di tendenza tematica, le  scelte lessematiche e non-lessematiche e il montaggio semantizzante. L’autonomia del linguaggio poetico non può essere indipendente dal mondo cui oppone resistenza e contro-tendenza. Una pluri-informazione estetico-politica critica che, attraverso il plus-valore di senso poetico sventagliato, sottragga terreno agli automatismi neutralizzanti quanto asimmetrici del monologo algebrico-spettrale del linguaggio dell’economia finanziarizzata e dell’uomo indebitato sine die (e credito fideizzato), non può fare a meno di prendere posizione avversa. Alla scrittura e alla voce della poetica e della poesia non mancano certo risorse e tecniche per reagire e agire in contro-tendenza e contro questo indebitamento assoggettante e potere governamentale onnivoro-pastorale socializzato. La figura di pensiero dell’hysteron proteron del codice poetico è voce possibile e pratica di distruzione della grammatica d’ordine e sottrazione alle sue linee murarie.

Sottrazione, rifiuto e rottura così, riappropriandosi, per esempio, della funzione anticipatoria di discontinuità – si rompe «il corso del tempo (della storia) stabilendo un prima e un dopo che riguarda anzitutto la soggettività»[4] –, attivano processi simbolici e non di soggettivazione politica; processi che non preesistono alla rottura. Perché (al contrario) è la rottura che genera la successione discontinua tra il prima e il dopo e il sorgere dei nuovi processi di individuazione. Soggettività e processi di soggettivazione che il capitale vuole controllare giocando all’insegna dell’emergenza o dello stato d’eccezione. A questo diktat però l’attività dell’artista e del poeta (che si fa oper-azione) deve contrapporre la temporalità delle “defezioni” delle moltitudini minoritarie. La temporalità est-etico-politica “oziosa” di Marcel Duchamp o dell’occhio cinematografico “veggente” deleuziano (del non nascondiglio) – “lascia cioè intravedere delle interazioni di un piano con l’altro, dal piano dello sfondo al primo piano”[5] , così come lo sciopero generale dell’operaio di una volta sospendeva universalmente (senza distinzioni di ruoli e funzioni di classe) il tempo cronologico della produzione capitalistica accelerata e lasciava vedere quello non cronologico della contro-azione comune (il noi).

Sottrazione. Un’azione di dissenso e un’inversione di rotta che, producendo soggettività e istituzioni eterogenee e comuni azioni di resistenza e defezioni anticapitalistiche globali, ha il dovere di «continuamente neutralizzare e sottrarsi alle tecni­che di assoggettamento e di asservimento della governance»[6]. Il dispositivo che mentre dichiara di sostenere la libertà individuale, ne è invece la morte programmata, la pratica sovrana del governo come gestione amministrativa d’emergenza, sicurezza, eccezione.

Sovrano, scriveva K. Schmitt (Le categorie del “politico”), non è il popolo, bensì chi decide dello stato d’eccezione o di emergenza! Ma se il popolo è sempre il popolo delle minoranze e lo stato d’eccezione è la decapitazione della libertà, dell’eguaglianza e della giustizia, uccidere il Cesare dell’emergenza permanente – il capitalismo delle crisi e rimodellamento continui – allora è un atto di rivoluzione; una azione libertaria o di democrazia inscindibile dall’hysteron proteron della politicità propria al mondo della poesia, dell’arte e del piacere della felicità a loro connesso. Il potere-sapere capitalistico sul sociale e sulle vite non può essere lasciato senza conflitti, e non per ultimo il fatto che punta sempre più alla frattalizzazione e individuazione dei rapporti come identificazione comandata. Per dirla con linguaggio foucaultiano e deleuziano, il governo in atto che, unitamente ai  segni potenti e impotenti, si relaziona, esercita e gestisce attraverso l’uso incrociato delle pratiche discorsive e non discorsive non può trovare nella voce della poetica dell’arte e della poesia segnali asettici, vocio, hapartheid. Preferibile è l’intempestività!

Necessaria e urgente è posizionarsi allora come macro-micro “divenire minoritario” e de-colonizzazione ininterrotta  delle coscienze e delle condotte, sdoganandone po(i)eticamente i blocchi soggetti alle regole del mercato concorrenziale e delle finanze borsistiche. Necessaria e urgente è una lotta di classe di nuova generazione che, oltre le depotenziate divisioni dei dualismi così cari alla cogestione del modello capitalistico di Stato (capitalisti e operai, proprietari e non proprietari, rappresentanti e rappresentati ecc.), veda l’eterogeno mondo delle singolarità individuali e collettive generare un nuovo Noi, la molteplicità dei “non-io” in rivolta. Qualcuno (Albert Camus) preferirebbe la formula “mi rivolto, dunque siamo”, il discontinuum di un soggetto collettivo Altro.

Certamente c’è anche chi preferisce o ama dipendenza e schiavitù e chi, come il potere dell’avanzata neocapitalistica fondamentalista, ricorrendo alle cure “pastorali”, mentre emargina le voci differenziali dell’estetica dell’opposizione artistico-poetica, cura la deriva e la passività di quanti sedotti e abbandonati. Ma è una ragione in più perché la poesia e il mondo dell’arte con l’hysteron proteron (che gli è proprio) funzionino attivo indice demistificante e forza propulsiva di contro-tendenza balenante: il fulmine dell’evento che accade. L’evento singolare che è proprio al tempo della scrivibilità/dicibilità del linguaggio fono-iconico-semantico poetico-turbolento della costruzione poetica; un’anticipazione figurale e plastica di pensiero in azione rivoltante come uno spazio-tempo e divenire-topologico dis-piegato delle forme di libertà; una libertà d’uso e di potenza che, ai limiti degli stessi linguaggi che donano le proprie virtualità reali, sono/siano promesse d’altro credito e debito: il mondo comunista dell’arte e della poesia che coniuga sogno, politica e utopia.

Marsala- nov./’18

______________________________

[1] Frédéric Kaplan, Verso il capitalismo linguistico – Quando le parole valgono oro, in “Le monde diplomatique/il manifesto”, XVIII, n. 11, novembre, 2011.

[2] Cfr. Vincenzo Cicero, Detective del tempoBachelard, l’instant, l’exaíphenes platonico, in BachelardLa dialettica della durata (a cura di Domenica Mollica), Bompiani, Milano, 2010, p.16.

[3] Clemens-Carl Härle, Religione senza religione, in Il culto del capitalismo –  Walter Benjamin: capitalismo e religione (a cura di Dario Gentile, Mauro Ponzi e Elettra Stimilli), Quodlibet, Macerata, 2014, p. 97.

[4] Maurizio Lazzarato, Il governo dell’uomo dell’indebitato- Saggio sulla condizione neoliberista, DeriveApprodi, Roma, 2013, p. 209.

[5] Gille Deleuze, Diciannovesima lezione/ 15.4. 1986, in Il potere- Corso su Michel Foucault (1985-1986) / 2, ombre corte, Verona, 2018, p. 364.

[6] Ivi, p. 214.

 

* * *

Ammarare 

a Fabiola Filardo

addosso e di gravità nudo-rosa
ondoso ammararti un tachione
di sogni scende vento solare
ai polsi toujours un clinamen

sgolarti (persa bava arsa) i fianchi
fibroso nella notte il desiderio
e d’ieri finirti montando le febbri
il desiderio delle alghe tra le cime
qui dove lo scoglio di Capo Boeo
un montar demente tra-monti
due racconta rocche rizoma
inquieto orgasmo e spasmi
e un sale sto di pelli impasto
non  un cielo le cosce scala
ma una carne di scava e deliri
un pasto infedele e snodoso

stargate danzano le streghe
la luna marose naviga dune
le dune del deserto intorno
vagabondo…

un sciame d’ali nudo d’hiver
sciama la porta delle stelle
e giù una colata di vertigine
fughe hi-tech in lingua d’oc
e da te di te nate sver-gi-nate
a tramonto che più chiedere al tramonto
se non un balzo di scintille sulle onde
la danza di un sasso prima dell’affondo
e all’orizzonte della cala un guizzo rosso-fuso?

(Da: https://poesiaultracontemporanea.wordpress.com/2018/04/02/antonino-contiliano-ammarare/)

 

Il tempo che resta

insurrezione il tempo che resta
il che fare 17 Aprile Lenin 1917
danza d’astri eternità Blanqui

quasar l’esplosione non ha more
violenta fiorisce il vuoto e le ore
e qui e ora non ha pene in pena

flâneur culla disastri e choc
e dove infinito il debito profitta
a scacchi balla la parte maledetta

la felicità dépense fiori di lava
insonne rivoluzione a spasso
e il passo brigante e migrante

insepolto l’istante in rivolta
l’erezione coniuga ai confini
e  quantico leva lava il debito

6 luglio 2018 (inedito)

 

 

Giallo di bordo

non è difficile fare la guerra
difficile è costruire la pace
… : così un giorno i Soviet

facile è dire fratelli in prece
difficile è divenire eguali
… : così i poeti sui-ci-dati

revenant è sorte Majakovskij
e tyche la “bufera” sulle rovine
quando il tempo tocchettia

urgenza è senza il sogno so
e la concorrenza in degenza
… : così la salute della finanza

non senti ora come blua il vento
e giallo in coro canta goal
e a sera un caffè e un bicchiere?

lotta di classe dà la strada e l’asse
e la trasparenza le finestre destre
odorano di ginestre  e vulcano

lava i colori  senza frontiere
sbordano e cenere guardano ieri
e a sera poi andati come era

domani l’ieri saranno e sciara
e noi sempre una scogliera
in canto, futuro senza barriere!

certo un caffè e un bicchiere
al bar più che vero danno sapore
e che poesia è se no senza odori!

eppure è kairós rimanere alea
imprevedibile evento e talento
il sistema vacilla se non governa
l’identico è credito a crimine
bene lo sanno i banchieri in corsa
e non meno bucanieri di morti

fotoni i sommersi del presente
pre-sentono rotte di collisioni
è discontinuum  balena attimo

10 nov. 2018 (inedito)

 

C’è presa

mind i sogni mendici me-
dici e furto del tempo il debito
e vecchia la moneta dà credito

ma è editto che sbarra e bara
e qui e ora è spesa di presa
e fumo ognora spread si fuma!

sadaqa (elemosina) né giubileo
o virtù del terrore a credito e debito
ma c’è collera che onora l’ombra

il capitale è usura e voce dura
fonema e onda di vero non zero
versi in ritmo di rov-ente in re

un incendio il fumo d’altri io
il fogliame al suolo l’autunno
di strade suona il caldo di ieri

è fluente alla finestre il debito
ancora si spaccia (se donne)
un calore all’occhio in provetta

un bruciore àncora gli istanti
es gibt jezeitzeit und sein e ça
donne senza tempo in guerra

e gli io “nous sommes” stanti
senza tranquillanti e anti tanti
revenants vanno avanti gli anni

qui c’è partito preso e presa ancora
clandestino ora è l’adesso-ora il senti-
ero unitaria rivolta che  non smente

dotta e sospeso che pesa
la presa di partito è partita
e perdono non c’è e dono

alti i giorni in volta e volt
hanno voce non spartita
e frequenza di risveglio

in scena la classe eterogenea
la canea i senza nome gli infami
senza scambio cenano di ceneri

il pensiero deborda e l’ora scema
e l’orda mendicante senza mercato
della concorrenza è deterrenza

c’è tempo e più del nome
il presente del futuro in resta
e vuote le parole sono piene

qui la povertà non ha pene
delirio di penne all’arrabbiata
l’infame guerra di nemo accetta

il nomos-kapital incetta in cesta
e del vampiro lascia cenere l’era
e dei morti in ira il papiro  respira

ora è il rogo in barca debito indebito
il fine partita di scambio e valore
e rogatorie Fmi-Bm banche di corte

l’angelo di Klee aleggia le pagine
il futuro dei morti sorti non morti
il passato pulsa e al passo bussa

non c’è più tempo per finzioni
tossici i titoli del credito-debito
sono potlàc di poveri à donner

l’ISTAT diagramma gli accoppati
il calcolo dei piaceri il profitto e tiro
fitto amore della moneta-segno a segno

degli uomini infami il delirio dice
e cubica la radice de-riva rizoma
e zone alea potere casino di rete

infami qui non è più tempo e vento
evento tira e plus à vivre non ci manca
a destra e a manca è torto l’ammanco

16 nov. 2018 (inedito)


Biografia di Antonino Contiliano


 

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