ALFONSINA CATERINO, Diversità e corrispondenze sulla “cosa poesia”. Due poeti a confronto: Wislawa Szymbroska e Jiří Orten


Forse, in questa frase di Wislawa Szymbroska: «Non dimentico mai di ridere, prima di tutto, di me stessa», è racchiuso il senso della relazione privilegiata che la poetessa intratteneva con l’esistente. Per Jiří Orten invece, il giovane poeta cèco, morto prematuramente a 22 anni mentre  attraversando  la strada veniva sbattuto a terra da una macchina tedesca che sopraggiungeva a tutta velocità, questo riso è  una tragica beffa in quanto egli, ebreo che scampava quotidianamente ai rastrellamenti per le deportazioni nei campi di concentramento, finiva, ignaro agnello sacrificale, dentro le fauci del boia. Era il 30 agosto 1941. Ecco il destino compiersi, secondo il pensiero premonitore di Jiří, come cosa. Una cosa che lui aveva in mente di cambiare completamente se fosse vissuto perché per Orten, compito universale per cui gli uomini nascono, è cambiare la vita.

E il fatto che il destino e la poesia di Jiří siano totalmente connessi, lo testimonia la sua opera intitolata “Una cosa chiamata poesia” in cui il tentativo di esorcizzare la realtà diviene sfida  incentrata nel suo salvamento  rispetto alla morte che già in vita afferma sé stessa nella negazione eccellente della materialità di vivere. «Cos’è dunque vivere ‒ aveva scritto solo pochi mesi prima dalla morte ‒, se non un nucleo succoso e sano custodito nella propria anima, per fronteggiare vermi, angoscia, il disprezzo della lode, la non comprensione di malattia e amore che divengono cenere in mano e solo la parola può tradurre in stupore prima di pietrificarne sulla tomba, la pronuncia che l’ha tuonata?».

La saggista polacca invece, Premio Nobel nel 1996, con “questa cosa” vuole osare discorsi che la vita di tutti i giorni non permette, se non a condizione di essere presi per pazzi! Ecco dunque la ricerca di una naturalità indispensabile per definire l’orrore e le mostruosità di cui l’uomo sa macchiarsi quando si riduce a creatura tanto indefinibile che nessuna parola è in grado di registrarne le nefandezze.

Non è un caso infatti, se la prima poesia della poetessa, pubblicata il 14 marzo del 1945, si intitola Cerco una parola. Ella cerca Una Parola, ma nessuna le sembra adatta a disintegrare sulla pagina bianca, le immagini di putrefazione e morte compiute  durante la seconda guerra mondiale. È questa la premessa da cui nasce in Wislawa, il bisogno di alleggerire la vita dalle sue superfici infestate di un “lutto” che l’uomo consuma cibandosene prima di essere  ammantato dalla sua esperienza macabra e definitiva. Ed è in tale dimensione cosmica che la poetessa inserisce il suo versificare, facendolo scorrere tra ironia e gioco, laddove urgente è la richiesta di scheggiare con la parola, le brutalità inaudite della guerra, delle violenze, delle tragedie immani che gli uomini riescono ad impiantare dal nulla e sotto qualsiasi cielo.

In tale contesto, anche l’apparente distacco dal pathos, assume nella poetica della Szymbroska, carattere di una  ricercata equivalenza o volontà dolorosa che le permetta di deformare i sentimenti, le passioni, la nobiltà, il valore e onore degli uomini in oggetti, in cose futili il cui impiego, rapporto e custodia, sembra essere prioritario e prevalente sulla immedesimazione e identificazione dell’individuo con il senso di essere corpus misterico della vita. “Cerco una parola” quindi, diviene un urlo iniziatico e poetico… Come dire:  “desidero cercare dentro di me” un modo che mi faccia comprendere la forma oscura e sepolcrale che origina l’ottenebramento della coscienza e “promuovere i miei stessi occhi” ad accertatori dell’orrore, onde ribaltarne disfatte e disagi e nello scavo provare a controvertere il materiale di risulta in pietra che dirupata, fa risaltare luccicore, una materia nascosta sotto al buio.

Questo è dato di fare a Wislawa, in quanto creatura predestinata e preavvertita da un’attenta sensibilità poetica. Ecco allora che divengono vitali le suppellettili minime. I poveri ausili della quotidianità si trasformano da esseri amorfi, in essenziali e complici. Gli oggetti vengono investiti della determinazione di poter cambiare il corso della storia con la loro presenza, scarto, abolizione o sovraccarico.

È così che l’autrice evidenzia con audacia e sottilissimo mordente ironico, le assurde connessioni che si vengono a creare tra l’uomo, la sua vita e le contraddizioni di cui è portatore in quanto essere incoerente. Il quale stupidamente si svalorizza ponendo uno strenuo impegno  nel ribaltare energie, ingegno e meraviglie in affari loschi, dispersivi del bene tremendo che potrebbe osare, dirigendo il suo congenito scontento, verso fonti rivelatrici di realtà altre.

In tal senso l’opera della Szymborska, Discorso all’ufficio degli oggetti smarriti diviene simbologia d’un significato elementare. Vale a dire che l’avere Wislawa attraversato fisicamente e moralmente molte macerie, sarebbe stata esperienza inenarrabile, senza l’ausilio esclusivo della poesia. Ella l’ha convertita in “oggetto”, indispensabile a ricercare e ricavare nuova vita dalla  vita, tenendo lo sguardo alto, affinché gli sia dato di individuare nelle costellazioni, la stella che poco prima sembrava svanita…


Ho una gran voglia di una mela grossa e succosa.
Ho una gran voglia di una passeggiata breve, tagliente e
piena di gelo.
Ho una gran voglia di libertà.
(Jiří Orten, da La cosa chiamata poesia)

* * *


Ho perso qualche dea per via dal Sud al Nord,
e anche molti dèi per via dall’Est all’Ovest.
Mi si è spenta per sempre qualche stella, svanita.
Mi è sprofondata nel mare un’isola, e un’altra.
Non so neanche dove mai ho lasciato gli artigli,
chi gira nella mia pelliccia, chi abita il mio guscio.
Mi morirono i fratelli quando strisciai a riva
e solo un ossicino festeggia in me la ricorrenza.
Non stavo nella pelle, sprecavo vertebre e gambe,
me ne uscivo di senno più e più volte.
Da tempo ho chiuso su tutto ciò il mio terzo occhio,
ci ho messo una pinna sopra , ho scrollato le fronde.

(Wislawa Szymborska, da Discorso ufficio oggetti smarriti)


Biografia di Alfonsina Caterino


 

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