ALFONSINA CATERINO, Come dinamica percettiva, il pensiero in Giorgio Moio schizza avanti al divenire

Irrompere nella cosmologia artistica e culturale di Giorgio Moio è – direbbero i francesi – “affaire très difficile”. D’altronde proprio loro hanno coniato il detto, “noblesse oblige”, riassumendo nell’economia morale del privilegio, la responsabilità che l’unto del meritorio rango ha, di vivere, testimoniare e creare, come il suo reale lignaggio impone, ogni cosa avanzando e, finanche le ipotesi che si vanno configurando tra scatti segnici o preannunciando sfide allo sguardo, percepite sottopelle.
Leggendo attentamente scritti, quaderni, dialoghi, tematiche da lui riassunte, studi da lui condotti, interventi molteplici che opera ed ha effettuato nel campo delle arti visive, della poesia, della letteratura, recensioni, eventi e frequentazioni che intrattiene costantemente con tutti i campi della ricerca, della sperimentazione, del fronte alto delle lungimiranze avanguardiste, ci rendiamo conto di stare al cospetto di un uomo che muove il corpo nello spazio-tempo inseguendo ritmi, indizi e risonanze che contengano il soffio forte della vita e che si annunziano nell’animo, come necessità di traslare il reale in visione e poterne gioire l’istante “che mai più nell’eternità sarà, quell’istante”.
Le finalità valoriali alle quali giunge nella sua vastissima opera di progettualità autoriale e redazionale, ci conferma chiaramente di trovarci di fronte ad una persona nata per pensare naturalmente il nuovo, investito da un’attrattiva verso l’invisibile che diviene visionarietà. Le iniziative, le composizioni, i quadri poetici che Giorgio crea sembrano essere connessi al presente con fili di seta ed ascendono a classi di condotte non paragonabili a nulla che la storia umana possa accostare alla parola “dejà vu!”. Entrare nella vita di studioso qual è Giorgio Moio, per carpirne la formazione, i segreti che l’hanno reso lavoratore instancabile della cultura, dapprima ci mostra uno studentello che girovaga di qua e di là senza sostanziare nessuna scelta o, almeno, ne intraprende qualcuna che lascerà spezzata sulla strada! Questo dato io lo ritengo molto importante in quanto mette in guardia su ciò che andava covandosi nel giovane Moio. I suoi motori di ricerca stavano limando interiormente gli impasti “grezzi”, impossibili da poter individuare e che solo il tempo ne avrebbe affiorato la caratura con punti luminosi sortiti dalle foraci mentali e fatti scivolare in attrito sulla strada! I silenzi, dubbi, cambiamenti, le sregolatezze negli studi, egli liquida semplicemente scrivendo che non “seguì l’iter ufficiale di uno studente di corso, in regola con gli esami universitari!”.
L’inquietudine degli inizi, me lo ha reso alla lettura, una “figura libresca!”. Leggere le sue note biografiche risalta una sregolatezza piena di fuoco che doveva trovare i luoghi ove eruttare e fa venire in mente il testo a cura di Roberto Mussapi, I ragazzi che scrissero il loro nome sull’acqua, precisamente Byron, Keats e Butler Yeats. Presenze, quelle dei “ragazzi” che si collocano in mente e che molto hanno a che fare con il seguito, i gusti e i temi del suo studio. Giorgio non manca infatti, di voler conoscere Dante Alighieri, Giacomo Leopardi, Guido Gozzano, il primo Palazzeschi, quello – per intenderci – che gli diede fama di uno dei padri delle avanguardie storiche, in quanto proprio Aldo sostituirà sospiri e toni elegiaci, con la presa in giro, il gusto per l’ironia che conferiranno alle sue liriche il carattere di divertimento!
Non si fa mancare nulla il giovane Moio! Scopre da solo futurismo, surrealismo, dada, lettrismo, neoavanguardia. Chiamato alle armi, non si presenta a molte marce perché una dannata, diabolica voglia di leggere, si impossessa di lui e non lo molla. La “voglia matta” di agganciare ai propri sensori le anomalie e captare le proiezioni delle cose visibili nelle ombre speculate d’accensioni, situate dietro ad alterità e indicibile, diviene giorno per giorno sempre più “un cerchio di fuoco” che si allarga fino a raggiungere dimensioni diverse. Nasce in lui lo spirito vivo dell’avanguardia, per intenderci, il quale lo sta colpendo come freccia di Cupido e, realmente lo innamora con la complicità di Eros; l’incontro, che pure avviene in disarmante tranquillità, sta rendendo presenza, la variazione del senso, affidata a forme prima invisibili che si rivelano e affidano al nulla, con lo sguardo sempre teso all’enigma dell’essere e all’azione costante dell’esistere.
Una ricerca, questa, estrema, infinita che vaga sull’orlo del vuoto, nella direzione degli occhi predestinati a vedere. Moio vede! Dove tutto è spazio bianco, egli vede impresse forme che solo attendono di essere risaltate ed evinte in tracce, paesaggi e passaggi da plasmarne superfici verbo-visuali, rendendole corpus unitari con la parola e al contempo azione, inquietudine, forza inarrestabile, compulsiva nella precipitazione e attraversamento di nuove forme materiche le quali si sovrappongono a tutti i materiali che la strada alloca come dépendance dei liberi cieli. Come? Mediante una rivoluzione sostanziale che si avvale di strategie liberatorie, stravaganti e affascinanti. Si

ritagliano lettere dai giornali, scarti multipli di materiali che la quotidianità rilascia naturalmente e miseramente nelle sue scorie; nulla escluso: francobolli, pezzetti di cartoline, ritagli di stoffa, sete di cemento, tutto concorre a rendere la nuova letteratura e poetica, un assolo artistico-universale che innalzando le radici dai fondali oceanici, si riflette sotto le stelle millenarie, la luna, le maree, incastrandosi come sembianze estorte agli echi umani, ai loro riflessi proiettati fra il sentito dire, l’urlare, l’ingoiare e vomitare silenzi infiniti per procacciare nella parte più oscura di sé, nuove formule di vita, immagini che abbiano la magia di abbagliare tutto ciò che incrociano quando scorrono tra accumuli e vissuti che si animano e si allungano senza possibilità di definizione.
Tutto avviene sotto gli occhi di chi è emancipato per leggere le visioni nel vuoto, catturarle per immetterle in un crescendo che oltrepassi recinti, definizioni statiche, e vada a realizzare luoghi mentali vertiginosi in cui si collocano naturalmente nuovi circoli e scenari. I loro indizi si sovrappongono come lastre sulle realtà che i corpi innovativi visuali protendono verso un perenne continuum, affiorando istantanee sorgive da un pensiero il cui flusso non è comparativo a nulla di ciò che “è stato o è stato visto”. Trasgredire il formulario di segreti, ordini, omologazioni, diviene in questo caso come possedere il potere di dissolvere e svanire “il destino” della terra attraverso il superamento enigmatico di visioni e parole, le quali abbattano come mura d’acqua ciò che è, per schizzare in alto, spingendosi oltre un nuovo limite e intersecandosi a profumi, segni, bellezza inaudita, tinte, suoni, istanti di rivelazione preziosi, in un miscuglio imprendibile e fantasmagorico, come se fossero, tutti questi elementi, pesci quando in alto mare fluttuano sulla verta producendo effettivi visivi lapidari nei movimenti perpetui che le onde velocissime scorniciano ad un quadro che mai si potrà dire terminato.
Moio è instancabile! Inseguirlo nelle attività che mette in moto, fra progetti, idee, negli avvistamenti che intravvede, sottraendoli al futuro che intuisce ad un passo e poi espone nel reale di sezioni nuove, lavori, commenti ed altro, vuol dire partecipare al battito di ricche risonanze ed avvistarle nel loro stato embrionale. La partecipazione che estende, soprattutto verso i fronti giovanili, decreta il suo impegno nella cosmologia letteraria e della cultura, della lingua che ognuno di noi sarebbe chiamato a difendere e trasmettere, in quanto rimane il solo strumento per realizzare la “libertà” e la libertà di esistere come persone che vanno tutelate e rispettate nei loro diritti.


Moio sale i piani, scalino per scalino e si ferma, non perché gli manca il fiato, ma perché è curioso. Deve capire, conoscere, entrare nelle cose, nelle persone che sente affini. Leggendo e studiando i suoi testi, si ha la sensazione che non gli sfugga nessuno: importantissimo nella sua vita di studioso delle avanguardie è la ricerca su Nanni Balestrini antesignano dell’avanguardia italiana; il primo artista ad aver percepito la letteratura come collage di materiali precostituiti, per trasferire nella storia, i documenti delle lotte operaie del 1969. Nanni è elemento di spicco del Gruppo ’63, lo affianca Adriano Spatola, anch’egli attivissimo nel gruppo, antesignano della volontà di apportare nella poesia concreta e sonora, il carattere indefinibile del suono. La poesia – secondo Spatola – è un fatto artistico-visivo, gestuale, fonetico che egli lega a particolari composizioni astratte dette zeroglifici. Moio si abbevera alle loro fonti, anche a quella di Edoardo Sanguineti (al quale dedica una poesia nel 1989, Regalo di Natale(1), durante un dibattito all’Università di Salerno su Sanguineti senza Sanguineti. Aveva lasciato quell’ateneo già da tempo)

spingi xpingi, che cuando tua madre ti partorirà figlia
ti regalerò un automa a Natale, lalmanacqo dei già nati
un po’ di mare del nord, i resoconti del mib;
)…(
xpingi spingi, che cuando avrai dieci anni fil–le
ti regalerò un maxi ap–
partamento sul litorale domitio
una lavatrice portatjle, così potrai fare la
pipì cuando vorrai e/o farti–sporkare–da–
lle–mextruazioni;
]…[
spjngi xpjngi, che cuando avrai
venta(nn)i daugheter ti regalerò un maRITO
buono buono ma tanto tanto bueno e in grazia de dios,
une pjxtolet automatique,
una kora[zzo]la damianto, così se ti fa ncazzar sa–
prai come djfenderti
e na be{ll}a bella ma tanto beuty beuty
kucina in muratura co lu forno elet–
trico (a gas potrebbe scoppiarti la casa)
&
girar–rostok
da prender’lmerlo per la gola, non si sa mai
}…{
xpjngi spjngi, che cuando avrai trentan–
ni die Tochter io : sarò : già : vecqio : xenon : già : morto

e perfino a quella di Andrea Zanzotto; non tralascia nulla e tenta di percorrerle tutte le strade insolite della poesia, finanche andando a sorprenderla travestita da concetti sapienziali.
In tale luogo egli si diverte a stroncarla sotto le luci accecanti della scena e immetterla nei sensi per il piacere iniziatico di tradurla in voce, in visione, in valenza segnica, creativa che tutto utilizza, dai collages alle ibridazioni e slittamenti sul vuoto per costruirne corpi esistenti provenienti da “luoghi oltre…”, e procedere inventando altro, il nuovo, l’inesauribile. È il tempo mastro in cui Moio transita on the road. A Genova, esponente di punta della neoavanguardia e del Gruppo ’63, è Edoardo Sanguineti, ovvero l’autore artefice della dissoluzione del vecchio linguaggio, onde porsi davanti alla storia, come registratore della crisi dell’ideologia borghese che, man mano doveva sfociare in una comunicazione verbale comunitaria la quale tendenzialmente prendesse spunto dalla vita quotidiana, ma parimenti ne smontasse gli apparati linguistici tradizionali che riteneva usurati, ricercando forme attinenti ad un linguaggio “mai usato” del raccontare, anche scadente, basso e semplice, ironizzando in tal modo su quello diventato uno stereotipato canovaccio inutile e asettico che la forma linguistica, ormai sorpassata ed astrusa non reggeva in alcun modo.
Moio sembra essere sempre in transito ad un passo dal buio, in una mimesi che appare essergli congenita, con i sensori perpetuamente latitanti che si avviano su mappe visive e divengono raccolte poetiche che stampate, affrontano la realtà dominante configurandosi come schegge e punti focali di rottura con la cultura vigente. Egli procede nelle opere rappresentate, nei tagli, nelle cuciture ossessionate della materia, con un impeto la cui potenza visuale, irrompa, sfiguri l’autorevolezza ufficiale della cultura di classe e renda protagonisti autorevoli della contestazione, coloro che significativamente andavano operando ad ampio spettro, per riportare la poesia dove era il suo posto, cioè guerriera in appostamento sulla vetta della montagna più alta, senza possibilità alcuna di allearsi con nessuno. I nuovi fronti di studiosi, fra cui Giorgio, sono completamente consapevoli che le tematiche e ragioni essenziali del loro esistere, sono lingua e linguaggi, ma si scontrano sul piano dell’azione temporale la quale, entro l’universo poetico, come tutti gli ambiti ed ambienti della vita terrena, pur essendo costituiti da masse di energia pura, brucia il suo potere mentre diviene e, quindi, rende il gioco infinito nel suo modificarsi radicalmente.


Pensare di aver scritto, intuito o detto qualche cosa di non falciabile mentre si pronuncia, proprio in forza della realtà che tutto annulla con una perpetua motricità incontrastabile nel suo potere naturale, è “cosa poeticamente risibile”. In Campania Giorgio è molto attivo nella sua ricerca, nei quaderni di linguaggi in movimento «Risvolti», col volume Da “Documento-Sud” a “Oltranza”(2), in cui tratta principalmente di alcune riviste e poeti a Napoli, dal 1958 al 1995 – Sono anni in cui la poesia campana vive una sollecitazione creativa di grande germinazione. Moio è attivo nell’impegno di dare voce e testimonianza alla rivisitazione dei poeti sperimentali che hanno prodotto una significativa rottura con la tradizione accademica promuovendo un forte impulso verso il rinnovamento della poesia. Ne tratta in ampi spazi nella terza fase di «Altri Termini», in cui dà ospitalità a dattiloscritti di poesia, narrativa, critica e saggistica anche di autori poco noti, ma meritevoli di essere pubblicati proprio per il calibro che la loro parola insofferente ed esplosiva apporta alle riviste che egli cura meticolosamente. I poeti conterranei con cui instaura ottimi rapporti umani, culturali, di ampio raggio sperimentale e avanguardista “e non soltanto”, sono Franco Cavallo, Franco Capasso, Alberto Mario Moriconi, Michele Sovente, Luciano Caruso, Stelio Maria Martini, solo per citarne alcuni, ma la lista è molto più lunga.
Il pensiero che emerge forte e chiaro, in questo momento di grande collaborazione, vivezza, rinnovo e avanzamento dei segnali diversi che la poetica sta palesando sulla scorta di risorse immaginative, nel nostro autore si può riassumere in una frase che lo contraddistingue da sempre e che il tempo non corrode, non scalfisce, né supera. Si tratta dell’assunto fondamentale dal quale parte e sul quale si basa la sua ricerca culturale: in breve, il concetto di collettività che Giorgio tiene bene a precisare, nulla ha a che fare con il termine di villaggio globale. In questo senso egli attesta in maniera autentica, autorevole e condivisibile che l’arte deve essere di tutti, fruibile da tutti; anche in contesti non storicamente deputati all’arte. Pertanto egli si mobilita e svincola da tutti i cliché per portare avanti, ad ampio spettro, un movimento di idee quale distintivo personale che si insedia in un ordine strategico, profondo, innovativo, allo scopo di includere altri nomi, altri sodali, come Lamberto Pignotti, Giovanni Fontana, Arrigo Lora Totino, William Xerra, Mario Lunetta ed altri ché la lista è lunga.
Se solo un torto si può muovere a Giorgio, è una sorta di pigrizia!
Chi lo conosce sa che è uomo riservato e schivo, ma ad inseguirlo nei meandri più oscuri e intimi del suo essere, si ha l’impressione di stanarlo a coccolare questa sua riservatezza, ad accudirla invece che smontarla! Gli inizi, però, in maniera accattivante, mostrano un giovane Moio che va, partecipa, si muove e muove gli ambienti di cui entra a far parte o di cui egli è iniziatore; una sorta di carica inarrestabile sembra assaltarlo continuamente. In questo periodo progetta, sviluppa, partecipa a mostre di poesia visuale collettive. Solo una volta, dice di averne creata una personale a cura di Gian Paolo Roffi, Segni sparsi e dispersi, nel 2020 presso lo Studio d’Arte FC (Castel S. Pietro Terme-BO) di Anna Boschi, per non farsi mancare nulla! In effetti, leggendo, studiando ricercando tutta la storia di cui si compone la sua figura di intellettuale, ci si rende conto di stare davanti ad un uomo, mi viene da dire, nato “quasi esclusivamente” per propagare, creare, fondare, fondere, trasmettere, insorgere, rincorrere segni e segnali rinnovatori della cultura e dei modi per esplicitarla.


Le visioni plurime che possiede, estreme nel suo volgere lo sguardo sempre oltre, agiscono in lui come figurazioni dialoganti che lo portano a contrapporre, ribaltare ed anche intrecciare realtà in essere. Diviene infatti redattore della rivista «Altri Termini», la cui storica “fuga in avanti” era agita dalle mani plastiche di Franco Cavallo, il quale sin dal 1972 (anno di fondazione di A. T.), dopo il processo di rivoluzione del gruppo d’avanguardia ’63 e della contestazione giovanile, comincia a intravvedere tutti gli elementi che stavano nascendo, li intuisce mentre stavano controvertendo la cultura in “beni vendibili al miglior prezzo” e che «la critica – scriverà Lamberto Pignotti a riguardo – si stava portando verso merci più redditizie rispetto alla cultura»(3). Sembra, a leggere ciò che dice Roland Barthes, sul momento storico che si sta attraversando, secondo il quale per sfuggire all’alienazione sociale che comincia a palesare il fenomeno umano afferente la “depressione” e ad onta che la produzione industriale viene esasperata, non rimanga, per difendersi e agire, che la via – appunto – della “fuga in avanti”.
Oggigiorno, afferma Moio, però, a fianco a linguaggi consumati e compromessi, c’è una sorgente artistica interessante composta da giovani che orbitano attorno alla scrittura asemica, un genere della poesia visuale, o meglio un genere a parte, che in Italia si sta affermando negli ultimi tempi, mentre nel mondo, già veicolava a ridosso della nascita della poesia visiva, verso la fine degli anni sessanta. Dell’altra rivista, «Oltranza», è anche fra i fondatori (fu lui a suggerire il nome alla rivista), oltre che direttore editoriale delle Edizioni Riccardi.
Nel 1998 fonda (insieme a Marisa Papa Ruggiero e Pasquale Della Ragione) e dirige la rivista «Risvolti», nel segno di Emilio Villa (al quale sarà dedicato il primo numero), indiscussa e grandissima figura costante e d’immensa ispirazione per chi era dentro alla sua officina attiva e per chi lo seguiva in quella sua potenza d’impostazione oppositiva, segnica e pittorica, come boccata d’aria cosmica ad ogni respiro. Era il respiro dei quaderni, dei linguaggi in movimento. Altri grandi firme muovono le pagine, trasmutano segni e generi, al discorso poetico. Fondamentali quelle di Luciano Caruso con le sue “tavole parolibere futuriste”, di Carlo Bugli con il suo contributo artistico e redazionale, di Stelio Maria Martini con le sue presenze percettibili ed inafferrabili. Un altrove che si schiude senza tregua, chiede e trasfigura mondi ad un ritmo che è umanamente impossibile da seguire. Come in preda ad un’ossessione, volge il pensiero di Caruso, su vortici esigenti l’ascolto del silenzio, dei desideri che l’istante pronuncia per oltrepassare il pensabile, per andare oltre lo specchio, spaccarlo e sfuggire nell’abbaglio, l’urgenza fisica, nella necessità di non “sostare un istante nel presente!”. Fra loro un attivista sempre più affilato che si muove e spazia, si rivela e svela: Giorgio Moio. Proprio su “Risvolti”

n. 10 dell’aprile 2002, Giorgio scrive Calligrammi per Luciano. È una visione impressionante che a guardarla fa sentire il sangue schizzare fuori, in sintonia coll’inchiostro nero e le sue spruzzate di colore azzurro furiose con scie che aggrediscono la pagina in alto. Una pagina, una vita, un mistero riassunto in modo formidabile da Moio che commemora così, l’amico morto; è la maniera più aderente all’anima, allo spirito di Luciano che Giorgio accende in un flusso di luminescenze aspre e dense contenenti tutti i segni e tutte le ferite traboccanti e visibili tra gli spazi bianchi in attesa di novelle fioriture e le cupezze tetre, tenebrose che i transiti fanno risaltare, vivere e intuire.
Ad attraversare il pensiero intimo di Caruso e addentrandosi nella sua inclemente indulgenza per la vita, penso che questa affascinante opera a lui dedicata, gli sarebbe stata di forte gradimento! Intanto Moio, con piglio di sperimentatore convinto, segue la sua strada e, come Franco Cavallo, uno dei massimi protagonisti del processo avanguardistico del secondo Novecento, fa ricorso a movimenti spregiudicati che si muovono nella parola in modo anagrammatico, cinestetico, fino a creare realtà inesistenti, surreali, ironiche, ma possibili, come evocazione e trasfigurazione del corpo, quello poetico che disintegra sé stesso al solo scopo di dare ascolto ad una necessità la quale si somatizza e fa male quando diviene spettatrice dell’esercizio effimero, fasullo a cui può andare incontro la poetica, se non calata in catarsi e lavacri i quali, mentre la rendono metamorfica, assurda, imprendibile e indefinibile, stanno solo attraversando le stanze buie del tempo, delle sue politiche astruse, codificate e distillate di esercitazioni scandalose, inutili che il tempo sa distanziare con lieve visibilità e, soprattutto al mancante, sa avvolgere il corpo:

Danze di parole

.a | cosa | serve.
.se | finisce | la | storia.
.e | non | puzzi | di | sudore.
.mi | dicevi | da | lontano.
. se | non | vi | è | veleno | & | nèlove.
.sulla | tua | lingua.
.sorriso | mimetico | & | metimico | mimìtico.
.radioso | martirio | ritrioma.
.& | trimario.
.occhi | di | fuoco.
.sul | prefissato | trofeo.
.se | una | voce.
.è | messa | a | maturare | a |
tumarare | turemàra | a turamare | turarema.
.nel | buio | che | sinsinua.
.s.
.e.
.n.
.z.
.a | più | palanchi | appuntiti.
.senza | più | le | danze | di | parole.
.che | scalpitano | in | gola.
.a | cosa | serve.
.andare | avanti.

.mi | dicevi | da | vicino.
.senza | guardarsi | indietro.
.magari | di | lato | se | proprio | si | deve.
.nelle | oblique | latitudini | dellumanità.
.a | rimodellare | la | materia.
.di | un | allegorica | cornea | dellocchio.

gennaio 2003
(in “Risvolti”, n. 10, cit. Ora in G. Moio, Poesie sparse 1989-2008, Edizioni Riccardi, p. 87)

Sono anni in cui Moio è inarrestabile nella sua attività di dispensatore e costruttore di culture, di visioni sempre nuove con cui guardare avanti ciò che non si vede, per generare svolte come dipinti che sulla stessa tela sovrappongono figurazioni sempre nuove. Azione e tensioni sono l’imput per ricacciare le forme appiattite ed opporsi, come in politica, con la creazione di altri partiti e contraddittori, nella ricerca letteraria con tagli e parole, che si fanno emissioni di combustibili le quali, mentre deflagrano le realtà, ne producono energie rinnovabili, pronte ad illuminare inediti di senso, scompigliare l’ordinario, uscire dagli ordini, dire il diverso singolare, decifrarlo e sempre innestare la marcia in più per spingere il motore, dove esige l’irrequietezza e la ricerca delle avanguardie. Alcuni testi di Moio in questo periodo sono pubblicati sulle riviste «Offerta Speciale», «Fermenti» ecc.
Nel 1989 egli pubblica la silloge poetica Scritture d’attesa (Edizioni Ripostes), in cui egli stesso – in 4° di copertina – dichiara di non voler dire nulla sul libro in quanto convinto che un «libro non può essere pensato o letto al di fuori e al di là della consapevolezza convenuta. Ogni parola sembrerà parlare dal silenzio lapidario. È ciò a cui ho mirato, a una parola che ti lascia riecheggiare suggestiva la decrepitezza attuale; per rivelarti poi, in un trauma radicale e non meno suggestivo, quella realtà che ci proietta inevitabilmente nelle bassure dell’essere, dell’essere navi senza porto. Hermes è ancora il dio delle lettere; le lettere stano mutando colore. È così che si dovrebbe pensare un libro, con una nomenclatura a-soggettica, fuori dalla convenzione convenuta, tradotta e trascritta».

Sono gli anni che preannunciano una lenta decadenza della cultura che non a caso il poeta Moio sente, anzi, annusa nell’aria, già consapevole che la parola, la letteratura, l’esperienza storica del termine narrazione e cultura umana, stanno per essere inflazionati da una media industria culturale la quale comincia a pubblicare testi di qualsiasi genere e di chiunque, in cambio del relativo pagamento. Scritture d’attesa, in tal senso, mira a riecheggiare il vuoto che il reale produce quotidianamente e che, se non vi è la presenza attiva dell’esperienza culturale, a contrapporre, opporre e contrastare la decadenza di valori ed arte, facilmente l’uomo sarà davanti all’esistenza indifeso come una nave senza porto!:

Un’aquila ferita in perdizione

Mi sento kome unakuila ferita in perdizione
irride gode uno stormo dombre nel bosco
tenebra càtara tumulto di fiamme
sulle skuame frat(t)turate della voce
prima dogni momento

(in Scritture d’attesa, op. cit., p. 7)

Ancora poesia dal testo Oltre il campo:

Un vero poeta è colui che si nutre di tutto il vecchio
per entrare nel nuovo e negarlo

Om
brule
inu
tile
exte
nua
kox
tante in
tera
mente

(ivi, p. 11)

In questa breve premessa alla poesia Oltre il campo, credo che Giorgio, con virtuosistica capacità di sintesi, dichiari ed attesti definitivamente che la poesia serve solo a sé stessa, al suo eterno abbattersi come mura d’acqua per ricostruirne altre ed altri piani, quali strumenti eccezionali d’intuizione del tempo, della sua non sostanza, del suo humus e delle scoperte, linguaggi, cambiamenti psicologici, spirituali, intellettuali degli uomini, le cui condizioni umane cambiano attraverso di esso e la poesia può, non solo codificarne le origini metamorfiche, ma anche servirsene quale mezzo privilegiato, endemico nella natura degli uomini, di cantare la vita sin dal principio, per celebrarla, ma anche ribellarsi, rivoltarsi contro le ingiustizie, le disuguaglianze, contro il suo “nonsense”, le violenze gratuite che gli uomini innescano contro altri uomini senza motivo, al solo scopo di sottrarre a questi quanto sarebbe in loro diritto di avere. Poesia come osservatorio umano e deistico di guardare tutto interiorizzando visioni e confrontarle con mondi che mentre divengono, mutano. Essere tutto questo, guardare tutto questo, entrare in tutto questo, è essenziale per scrivere l’ultimo verso e, come pensa e ci dice Giorgio: “cancellarlo nel tempo di scriverlo”, in quanto la realtà che avanza e già altra, rispetto all’attimo precedente: «tutto si rende difficile in questa folle corsa verso lo sfaldamento, verso la non/effettività, in quanto la parola non evoca più nulla e nessuno […] la parola non evoca più nulla perché chi la trasmette non è più cosciente di sé: è un ermeneutico individuo che vive ancora sull’alito del passato, che evoca e trasforma (così) la traslazione del senso in corpi evanescenti» (ivi, p. 16)
Poesia che infinitamente trova motivi per essere e riassumersi nei termini di perpetuo inizio di movimenti artistici e poetici: «L’uomo ha, a propria disposizione, un mezzo per tentare di risolvere parzialmente il problema del dolore, è quello dell’arte e della poesia, del loro coniugarsi con l’essere […] all’interno della prospettiva unitaria di Poesia e di Essere. Altrimenti o lo accetta secondo una modalità ellenica o pone in atto la Fede, piano assolutamente personalissimo che non ha niente a che fare con l’arte e la poesia…»(4).
Sono anni in cui la forma assume una forte e determinante caratterizzazione inglobando ogni altra idea, ogni altro concetto estetico-artistico, etico, morale e religioso. Il contributo di Giorgio Moio in tale radicale rinnovamento, agisce come azione fondamentale dello sperimentatore convinto, apre solchi poetici decisamente “spregiudicati”, anagrammatici, sconvolgenti. Le sue poesie verbo-visuali nascono da frammenti o lacerti estrapolati da poesie lineari, per essere dirottati in un solo corpo poetico che guarda sempre alla scoperta di nuovi linguaggi:

Mare nostrum

cualke vvota il ’mmare serpeggia
scortica i suoni delle sillabe di sibilla
di tanto in tanto schiumeggia
linee sinuose nella memoria
! aleggia
[lindifferenza]
! cortegg(h)ia
……[linesixtentia]……
__]…[__
voltegg[H]iando s agg(h)ilea
in aggiterlvo
con aggiterco
fallestroversus
🙂 parodia d’ ’o ’mmaremoto (:
): alleghoria d’ ’o m’marasma (:

(in Ordo italicus, op. cit., p. 83)

Sono processi collettivi di poesia alternativa, quelli che nascono dando una visione diversa del mondo. Trattasi di plurime energie che s’affrancano dalla parola e iniziano ad essere preda di un individualismo che va a toccare i vissuti amari delle persone, i tatuaggi ulcerati di una quotidianità sempre più inafferrabile. Su tale terreno si snoda una dinamica percettiva che gioca una doppia partita col senso. Si prova a privare il testo del significato, ma concedere alla struttura segnica, un’importanza che lettere abnormi, frasi di rottura, terrore, violenza, nel loro disporsi nello spazio come padrone assolute, vengono a testimoniare che la parola è l’accentazione suprema consegnata agli uomini dagli dei, per far divenire tutto ciò che esiste in questo momento, il contrario nell’istante che segue. Un senso, dunque, che supera tutti i precedenti significati, per stabilirsi nella facoltà della propria percezione delle cose:

sìsì lo dico e : lo ridico
ma tu non credere se tidico
(o tis/scrivo) di mille mani
chemergono da lo fango e/o
daogniversoperso
alluma màlula immonda
una voce di mille mani
(chemerge dallesterno de lo fango)
che a parlare sembrano frut(t)ure
o frit(tt)ate di cipollate conagliate
e/o sangue duna lengua insanguinata
[…]

(in C. Bugli, P. Della Ragione, G. Moio, M. Papa Ruggiero, Locus solus. La Babele capovolta, a cura di G. Moio, Quarto-Napoli, Edizioni Riccardi, 2001)

Lo sguardo lungo di Giorgio non solo viene da lontano, ma arriva carico di tutti gli elementi che hanno fatto del 1900 un secolo grandioso sotto l’aspetto della Cultura e della grande innovazione che guardava al futuro già nel 1928, con Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severino, Amedeo Modigliani e tanti altri artefici del manifesto del futurismo. Egli ha seguito il surrealismo di André Breton e Paul Eluard, la scrittura materialistica dei “Quaderni di critica”, la neoavanguardia di Edoardo Sanguineti, l’avanguardia napoletana in campo visuale e non solo, lo strutturalismo barthesiano. Quotidianamente il suo sguardo lungo vola caparbiamente e generosamente su tutto il possibile, sempre alla ricerca dell’ultima strategia con cui svezzare la cultura da accademismi e stereotipie confezionate in scuole e università, ciclicamente riversate su loro stesse come medaglioni pieghevoli. L’entità del tempo solo l’arte la ferma rendendo immortali le opere degli uomini di cui non resta nulla. Sono e saranno sempre i giovani coloro che vedranno altro. A loro Giorgio si affida e riferisce per ogni iniziativa e progetto da formattare, instaurare e produrre, avendo chiaro in mente che il risveglio dell’arte è sinonimo di attenzione e azione. Ascoltarli, dunque, i giovani, accoglierli, proporre loro delle iniziative da portare a termine, è un altro tratto che Moio porta in sé, nella volontà propositiva di fuggire lontano anni luce dalle affermazioni autobiografiche che stagnano civiltà e cultura e che nelle ultime decine d’anni, stanno affondando l’estro, il phatos, la divinità scientifica della poesia nelle sabbie mobili.
E arriviamo a Segni sparsi e dispersi, l’unica mostra personale di poesia visiva/Visual Poetry, a cura di Gian Paolo Roffi, allestita nel 2020, dal 18 gennaio al 9 febbraio, giusto in tempo, miracolosamente, possiamo dire, perché di lì a pochi giorni, nel mondo si sarebbe scatenato l’inferno con la pandemia da covid-19 la quale ha devastato le vite di migliaia di persone, con vittime, catastrofi, solitudini estreme, come ben sappiamo. Un quadro sconvolgente, il quale non poteva non intaccare l’universo dell’Arte che ha vissuto dagli inizi di marzo 2020, fino a poco tempo fa, una resa forzata, a realizzarsi come è il suo precipuo ruolo e la forza eccezionale di coesistere con i sistemi di potere e opporsi ai loro dettati da osservare, anche nei tempi post-contemporanei. In nessuna crisi di settore la Cultura non si tira indietro e fa sentire la sua voce! Una voce di rottura, di provocazione, di diniego per tutte le dimensioni negative che stati, governi, territori e popolazioni mettono in atto per omogeneizzare sempre più l’universo che mai potrà essere definitivo villaggio globale, mai!
Di Giorgio, in questa mostra sono visibili opere verbo-visuali talora tondeggianti, altre irregolari, piene di una pseudo-scrittura che rimanda alle grafie di Luciano Caruso, ossessive talora nei segni eseguiti talmente minimi da poter sfuggire ad un occhio che non affonda lo sguardo negli abissi. Altre opere sono in questa notevole mostra che lasciano sul foglio tracce improvvise, come sotto l’effetto di un raptus; esse divengono frammenti il cui calco rileva una forza fisica intesa ad affiancarsi a quella mentale. I testi poetici leggibili in senso circolare o lineare, quasi somigliano a relitti galleggianti ai quali aggrapparsi per non morire sepolti nel mare magnum dei detriti. Il monologo interiore di Moio è presenza senza sonno, sempre alla ricerca di soglie, di nuovi incontri con il tempo, con altre infinite verità da tracciare in nuovi segni impressi con incisioni, intagli di materie luminose, le quali nelle sue mani divengono permute d’imprevisti che tutto concreano, spezzano; sia riguardo al corpo che per ogni alito che la terra emana e diffonde in energie molteplici di campo, d’echi, d’una lingua che si diversifica attimo per attimo divenendo indeclinabile.


Moio ama non declinare, ama fortemente guardare la meravigliosa bugia che è la vita e rendere la bruttezza miserabile che essa è capace di produrre, ridondanza ricca di finezze, per intenderci, come guardare un film hard insieme ad una principessa di sangue reale. Questo avviene nel volumetto in prosa Dove la terra trema. Due racconti flegrei(5), scritto a quattro mani con Pasquale Della Ragione, dove pubblica il racconto che reca lo stesso titolo del volume: Dove la terra trema. In questo racconto, Giorgio non tralascia nessun rigo per scalpellare nella solfatara di Pozzuoli e affiorarne, entro il puzzo nauseabondo, le verità delle creature che vi abitano, ammassate in una fetta di terra che non può in nessuna maniera non esalare imbratti di ogni tipo, dal fetore di pesce putrefatto che infesta il valione, la darsena, al rischio di perdere la vita per mano di un ragazzotto, il quale per un nonnulla, può cacciare il coltello e lasciare a terra morto, un uomo che egli ritiene l’abbia offeso. Un racconto davvero accattivante e tessuto di verità oscene, carnali, di desideri, che pur di esaudire non fanno tener in conto nessun rischio a cui si va incontro. Il territorio è Pozzuoli, alle porte di Napoli; la «punteggiatura è sostituita egregiamente da sbarre verticali, che danno un bellissimo aspetto alla pagina e richiamano la divisione del testo in cola e commata, secondo il modello della retorica tardoantica e soprattutto cristiana, che introduce la versificazione nella prosa (i versetti della Bibbia); il racconto è in prima persona, con forte presenza dell’autore protagonista, sia per l’andamento che ha qualcosa del monologo interiore, come quello di Molloy nell’Ulisse, sia per le puntuali, ridondanti determinazioni di luoghi e persone, come avviene nelle narrazioni dei dialoghi reali: «il Rione Terra | da una ariosa finestra del mio studiolo di Palazzo De Fraja Frangipane»; «la chiesa di San Celso | alla fine di via del Duomo»; «don Buono | con quei suoi occhi spiritati», o l’elenco e la collocazione dei cinematografi di Pozzuoli, solo per rimanere alle prime due pagine»(6).
La descrizione minuziosa tanto dei campi lunghi quanto dei primi piani è una delle maggiori qualità di un racconto tanto ricco di finezze lessicali e di sorprese che quasi prevarrebbero sulla trama se questa non fosse abilmente costruita quasi come in un giallo…
Non poche corrispondenze verosimili possono riferirsi per la cruenza dei fatti che vi avvengono, al testo di P. P. Pasolini, Ragazzi di vita: «Grappoli di ragazzi erano affacciati ai finestrini dei treni, senza biglietto di andata o ritorno, solo i ciuffi di capelli si vedevano sventolare nei mattini freddi di gennaio…».
Proprio nella consapevolezza piena della forza insostituibile che rende la poesia strumento eccezionale e unico, la quale sale dall’inconoscibile per rendersi realtà insospettabile e non solo, il pensiero in Giorgio si fa motrice di un flusso dinamico inarrestabile che non sfilaccia l’ego per fare spazio all’offerta che gli viene in dono. Offerta intesa come la summa dei privilegi, la cui dimensione è propria della poesia, la quale nel suo habitat infinito ed indefinito, tutto conosce, crea, senza dare spiegazioni a niente, a nessuno! Essa è libera, libera di dire, di essere, di manifestarsi anche quando tutto è

apparentemente fermo,
apparentemente appartato
ma sotto si muove
scava
et intriga
et corrode
contesta le idee
linganno della storia
storie storielle senza
sputazzelle
o il guizzo di una gazzella
la stizza che
non sarrizza

(in G. Moio, Testo al fronte, Perugia, Bertoni Editore, 2022)

I versi qui sopra riportati fungono da presentazione all’ultimo volume pubblicato da Moio, Testo al fronte, nella collana di poesia verbovisuale da lui stesso curata. Il titolo è fondamentalmente, un richiamo alle nuove tipologie di guerre che l’uomo post-contemporaneo, per la brama di cambiare le cose a tutti i costi, si ostina ad andare anche incontro a disastri ricercati abilmente e metodologicamente negli apparati più sofisticati che ha prodotto sino ad oggi. In tale senso viene in mente l’insorgere non messo in conto, degli effetti che combinazioni, sperimentazioni estreme possono produrre mettendo a rischio la vita dell’intera umanità. È successo appena nel marzo del 2020 che una pandemia, le cui origini ancora non sono state chiarite, ha messo in ginocchio l’intera umanità con milioni di morti accertati, un’economia inflazionata a livello mondiale e un fermo obbligato di tutti gli esseri umani come ai tempi dei bombardamenti della prima e della seconda guerra mondiale. Evidentemente la pandemia ha insegnato ben poco all’umanità.
Moio non resta chiuso in casa, inerme, come obbligano le regole che si sono dovute rispettare per almeno due anni. Non resta in casa a perdere tempo… ma parla e scrive di poesia mandandola “al fronte”. Una poesia per frammenti ancora ci fa assaporare Giorgio ed ognuno di essi ci lascia un nodo in gola. Un nodo che il tempo, mentre precipita nel silenzio, ci induce a tradurre, a captare:

[…]
non
sanno più
giocare
(aizzare)
(i paradossi)
scardinare
la s
ssssssss
truttura
dellocchio

sommare/sommatorie
ammucchiare parodie

de’ naria marina

! nelle
!____insenature

!! de lo viento
!!!_____non / sanno / stare

!!! in silenzio
[…]
(in Testo al fronte, op. cit., pp. 75-77)


1 in Contrappunti variabili, Bertoni Editore, 2020, p. 19.
2 Oèdipus Edizioni, Salerno/Milano, 2019, pp. 195.
3 in Matteo D’Ambrosio, La ricerca letteraria a Napoli. Studi ed interventi 1977-1987, ed. Dick Peerson).
4 Ettore Bonessio di Terzet, introd. a “Ordo italicus” (Genova – Napoli, due capitali della poesia, a cura dello stesso, Napoli, L’Assedio della poesia, 1999, pp. 15-16.
5 Tricase-LE, Youcanprint, 2015, pp. 50
6 Giovanni Polara, introd. a Dove la terra trema, op. cit., pp. 8-9.

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.