ALBERTO TONI, Il Novecento di Yeats


Dopo il Meridiano Mondadori del 2005, con la traduzione di Ariodante Marianni, esce ora per Feltrinelli una scelta antologica delle poesie di William Butler Yeats a cura di Roberto Mussapi, dal titolo Verso Bisanzio. Il titolo è ripreso da Navigando verso Bisanzio, poesia posta in apertura e tratta da La torre: «Apriamo il libro. Inizia con il poeta che salpa verso Bisanzio. È una poesia della maturità, quando ormai Yeats sente affievolirsi le forze e allontanarsi il tempo della piena energia della carne e dei sensi, e adombra, oltre la fine di questa vita, una nuova, eterna esistenza». «Così io feci vela sul mare e venni / alla sacra città di Bisanzio»: non fuga o allontanamento dalle radici irlandesi, ma un viaggio verso un “luogo al confine con l’Oriente e il Paradiso”. Nell’introduzione Mussapi indica le linee guida interpretative di questo poeta che esplora la divinità “nella sua pienezza poetica”.

Poesia del territorio mitico d’Irlanda, con la sua cultura druidica e magica. Ma Yeats è poeta tutto novecentesco, perché la sua ricerca non è nostalgica, ma “nel magma”, “come avverrà nell’opera di Mario Luzi”. Una poesia, insomma, identitaria che si solleva e al tempo stesso attraversa la realtà servendosi del mito e della tradizione. Una realtà, quella di Yeats, “concreta, percettibile dai sensi, corporea”. «Io non ho figli ma solamente un libro / ad attestare al mondo il vostro sangue e il mio», scrive in Perdono, antichi Padri. Il libro, l’opera, è l’elemento fondante di raccordo. E la lingua del poeta è il solo raccordo possibile, proprio perché in grado di creare un’unione tra i vivi e i morti, «riportare alla luce del vivente, all’hic et nunc, le voci dei trapassati». Nella loro concretezza, aggiungo: «Mercante e studioso che mi lasciasti un sangue / mai passato dai lombi di un rigattiere / […] e tu più di tutti, vecchio silenzioso e fiero, / per lo spettacolo quotidiano che esaltò il mio cuore».

La traduzione di Mussapi ripercorre il mito e al tempo stesso con asciuttezza tesse la trama complessa ricreandone però l’armonia, anche laddove la poesia di Yeats è più indecifrabile. “La torre è uno degli emblemi nella poesia di Yeats”: «È tempo che io faccia testamento, / scelgo uomini eretti / che risalgano la corrente fino al salto / della sorgente». E ancora: «Ora devo predisporre la mia anima»; il poeta deve prepararsi al declino, o meglio, la sua anima. Scrive Mussapi: «Tutto quanto accade all’interno della torre è la storia di una vita individuale che si fonde con la realtà cosmica». E La ruota indica l’incessante circolarità del tempo. La sapienza è nel nome di Salomone o nel dialogo virgiliano in Pastore e capraio. È il teatro che entra nella poesia, sempre in contrapposizione tra corpo e anima, vita e morte, giovinezza e vecchiaia. Shakespeare e Dante, così come il personaggio fittizio di Robartes, una sorta di controfigura dell’autore, agisce più volte “come un mago”.

Ma Yeats è anche poeta d’amore, sulla direttiva classica di Saffo, Catullo e Cavalcanti, «linea amorosa non petrarchesca, ma pulsante e sanguinante». «Una giovane sorse che aveva rosse labbra dolenti», leggiamo in Pene d’amore. Tutto avviene dentro un’umanità che grida, dolente. E arriviamo alla poesia di chiusura, I cigni selvatici a Coole, dall’omonima raccolta: «L’incanto dell’uccello magico permane, ma il poeta moderno non è un dio». Gli uccelli sono mediatori fra terra e cielo, il poeta li osserva. L’antico mito irlandese diventa l’inquieta domanda dell’esistere, presa di coscienza dello scorrere del tempo e della fine: «Ho ammirato quelle creature splendenti / e ora il mio cuore è triste».

(Questa recensione è stata già pubblicata su «Via Po – Conquiste del Lavoro», concessa dall’autore per «Frequenze Poetiche»)

 

William B. Yeats
Verso Bisanzio. Poesie scelte 
a cura di Roberto Mussapi
Feltrinelli, Milano, 2018, pp. 194

Biografia di Alberto Toni


 

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