AA. VV., Perché scrivi poesie?


Perché scrivi poesie? È la domanda che più mi sento dire. La mia risposta, semplice: perché sulla terra c’è bisogno di poesia. Perché non scrivi un romanzo? Un romanzo ti dà la fama e… forse soldi. Un bel romanzone, tipo Il nome della rosa di Umberto Eco, magari ne fanno anche un film!

Scrivo poesie perché la poesia offre una vita fatta di sfide. Ed io sono uno che ama le sfide. In ogni caso, un dato da non trascurare nello scrivere od occuparsi di poesia, è la consapevolezza dell’impossibilità, la cui impossibilità fa emergere una consapevolezza – come dire – quasi brutale, istrionica, ludica, la stessa che si muove da una rigida opposizione al poetese, al dejà vu, per insediarsi nella differenza esistente tra Testo e Poesia, tra ciò che si dice e ciò che si vorrebbe dire, tra materia e tempo: corrodere la raréfaction del tempo e la materia verbale in superficie fino a farle impazzire di gioia e di dolore, fino a farle apparire nel loro “reale” apparire, che non è mai la realtà che uno crede di vedere. Si tratta di rappresentare un’immagine di sogno, un’allegoria del sogno.

Si tratta anche di una ricomposizione di memoria in cui l’impossibilità di cui sopra che emerge, sia anche uno stimolo a riconoscere qualcosa di non “vero”, di non definibile, giacché parlare di poesia (e/o comporla) è parlare (e/o comporla) di un’approssimazione di suoni, di parole, d’immagini, che si auto-generano dal loro interno proprio perché privi di codificazioni, e quindi presentarsi sempre nuovi e diversificati (non già del poetico – che spesso fa rima con patetico –); è generare un’esigenza “mobile” per dirla con Benjamin, mai in grado di soddisfare nel momento della sua composizione: l’indagine critica e plurilinguistica, apparentemente comica, giocosa, è il compito della poesia, e non può che svolgersi sul limite dell’impensato, per una moltitudine di voci, suoni, immagini, grafie che s’inseguono e si ribaltano per un linguaggio che diviene “semplice” materiale da usare e da mostrare nelle sue infinite proporzioni. Che cos’è in fondo la poesia se non il rendere possibile l’impossibile? (g. m.)

 

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Mirko Servetti – Perché la mia viltà mi ha impedito di usare il mitra.

Floriana Porta – Perché la poesia mi scorre nelle vene… ecco il motivo.

Lella Buzzacchi – Perché scrivo poesia? Perché la prima cosa che prendo in mano al mattino è la penna; perché è un bisogno come mangiare e bere; perché ho questa maledetta coazione a tradurre in parole polite e succinte ciò che vedo e vivo; scrivo poesia per contrastare la prosaicità; ma soprattutto perché la Madre Terra è la mia musa. Poesia/ non amo le tue forme tuttavia/ mi costringi a quest’abbraccio/ in cui riluttante/ alla fine giaccio.

Rita Pacilio – Scrivo poesie da sempre. È lei che ha trovato me, anche quando non sapevo cosa fosse. Solo dopo averla studiata e letta (parlo di Dante e dei classici) ho capito che il linguaggio poetico meritava tanto rispetto e cura. Lo amavo. L’ho scelto. Ed è proprio la sua forma, sintetica e ricercata, che mi ha convinta a proseguire nella ricerca e nello studio della “parola”. Ho provato anche la prosa e quando “senti” e “pensi” con la poesia tra le dita, ti rendi conto che la tua poetica continua a persistere, a dominare l’intelletto e la visione stessa del mondo. Scrivo per esistere, resistere, denunciare, celebrare, capire, reinventarmi, amare la vita. La Vita così vera e autentica è qui, davanti a noi. Basta osservarla e tenerla, soprattutto, man-tenerla, nel senso di portarla per mano per lasciarsi condurre. Un augurio a chi della poesia ne fa la variabile della propria creatività esistenziale.

Massimo Silvotti – La poesia è necessità, non si decide proprio nulla, è lei che ci decide. A noi semmai la sola possibilità di respingerla.

Alfonso Filieri – Per salvare il mondo.

Lucia Stefanelli Cervelli – Perché la Poesia è prepotente e non smette di suggerirsi. In fondo, mi traduce.

Preziosi Federico – Me lo chiedo spesso. Non so, forse è un destino quello della poesia, un destino che mi ha agguantato pochi anni fa. Non so perché devo scrivere e scrivere tanto… Forse ho bisogno di mostrarmi, di (utilizzo un termine a me caro) scavarmi e poi rielaborare. Ho pensato di scrivere un romanzo, ma sento che la mia ricerca per pubblicarne uno sia incompleta. In generale, un trama romanzesca ha bisogno di una maggiore organizzazione per realizzarsi. La poesia invece funziona anche per piccole impressioni ed è nella sua relativa brevità che esprime il proprio potenziale, nei suoni, nell’accostamento delle immagini e delle figure ecc. Certo, si può raccontare una storia in poesia: penso a “La ragazza Carla” di Pagliarani, ma come si può notare, seppure nella narrazione, non si esce mai dal linguaggio della poesia. In fondo è una forma mentis, un modo per osservare le cose e se stessi, renderle attraverso uno stile personale. Naturalmente anche il romanzo ha una poetica, uno stile e una espressione caratterizzante, ma rischierei di andare fuori tema se mi dilungo oltre su questo aspetto. Dunque torno alla poesia e penso che forse il mio interesse risiede nel trovare sacche di pensiero alternativo in modo più semplice, perché è la forma della buona poesia a insinuare in noi un rapporto particolarmente intimo con il sentire poetico. La poesia interroga e non ha risposte. Come riconoscere la buona poesia o, per chi scrive, mostrarla? Non lo so, forse questo non si può imparare, solo la sensibilità e l’esperienza ci conducono da qualche parte. Ci si lascia coinvolgere nella speranza di lasciare un barlume di infinito in questo mare indefinito.

Antonio Spagnuolo – Scrivo poesie perché nelle mie circonvoluzioni cerebrali serpeggia quotidianamente l’endecasillabo, anche quando io non lo richiamo! Il sub conscio è il luogo della poesia, il nucleo impenetrabile di ogni pensiero, che si plasma nel pensiero stesso, per diventare la parola, capace di suggestionare e di rivelare il non dicibile. Scrivo poesie perché i sentimenti che affondano nel nucleo chiamato anima si ribellano al silenzio ed esplodono con la prepotenza del dispetto, della violenza di un ritmo, che metabolizza il non catalogabile, tracciando insistentemente quel quadro illuminante della trasgressione. La dimensione dell’oltre ha le motivazioni che partono dal profondo, nel tentativo assoluto della scommessa, capace di elevare poeta e fruitore oltre le miserie della quotidianità. Scrivo poesie perché il tempo, senza spazio, diventa categoria del surreale e della metafora della liberazione dell’io!

Renato Casolaro – Alla domanda sulla differenza fra poesia e prosa non ho saputo rispondere e ho taciuto. Su questa domanda sento di dover rispondere. Per me scrivere versi è una necessità delle cui ragioni ha discusso appropriatamente Antonio Spagnuolo, col quale sono pienamente d’accordo. Un pensiero, una sensazione, una percezione, un’emozione mi giungono talvolta in un “motivo” (nel senso musicale del termine), in endecasillabi a volte completi a volte frammentari, ci lavoro su e quando mi sembra che ogni sillaba ogni suono ogni parola sia al suo posto lascio lì lo scritto e lo riprendo in mano dopo qualche tempo. A volte ‒ con la sensazione di essere presuntuoso ‒ credo di aver scritto una poesia.

Marco Zuccaro – Rispondo con un vecchio (e anomalo) verso dei miei: Si fa poesia per soffrire meglio / cercare l’alba radiosa / avere l’anima – ancora sciolta.

Grazia Fresu – Scrivo perché non posso farne a meno, da quando a dodici anni i miei primi ingenui versi mi trasmisero una indicibile emozione, una musica dentro che va espressa, un senso di me che trova nella poesia l’espressione più esatta del mio sentire, della mia curiosità per il mondo, della mia ricerca di empatia. Con il tempo scrivere poesia ha significato accedere a una bellezza altra, fatta di ricerca, di esercizio del linguaggio e della sensibilità in cui mi sento piena e definita, un atto che mi sostiene nelle infinite vicende della vita, felici o dolorose, un atto che mi aiuta a comprendere me stessa e il mondo, che comunque sempre produce in me un’esplosione di gioia, un gesto di cura verso me e gli altri, scrivo poesia, come dissi in alcuni versi “per essere felice”, sperando che frammenti di questo arrivino anche agli altri.

Clara Di Stefano – … poesia per entrare nel cuore delle cose, per cercare il senso della vita e… cantare l’amore in tutte le sue forme…

Alma D’Amato – Il vero Poeta non può esimersi dallo scrivere poesie, specie se esse apportano, piacere e sentimenti più nascosti, senza la poesia? Non togliamoci anche la gioia di provare la bellezza insita nei nostri cuori!!!

Armando Bertollo – Perché scrivo poesie? Mi piacerebbe tentare di rispondere, se solo avessi un po’ di persuasione in più che quello che scrivo è in qualche modo riconducibile ai canoni (certi) della poesia.

Ma non è così. In quelle pagine dove gioco come un bambino dentro ad un “corpo” più largo, decostruendo testi verbali ancorandoli a tracce lineari che ne condividono lo spazio, non so proprio se sto “scrivendo” qualcosa che possa definirsi poetico o “poesia”. E più passa il tempo, meno certezze ho al riguardo.

Certo, la Poesia è anche per me, sotto sotto, da quel livello profondo che arriva a galla, e come esperienza che da un fuori si ri-solve in un dentro ‒ un transito aereo di elementi linguistici ‒, una mia… aspirazione.

Nel senso che cerco di introiettarla da aria salubre non appena ne percepisco una vaga, ventilata, “eventualità”: un’ipotesi di atmosfera che vorrei pulita, protetta e sottovuoto, che invece sarà “es-pirata”, purtroppo, caricata dalle scorie dello scambio.

Il fatto è che la Poesia, innanzitutto per me è quella che leggo, non quella che scrivo. La poesia è quella che scrivono i Poeti. Con quale azzardo potrei definirmi scrittore di poesia (non oso dirmi poeta) se quello che “tento di scrivere” non ha statuto certo se non in periferia della grande galassia del verbale e del visuale, del verbo-visuale ‒ fondendo i termini ‒? E allora in-somma? Insomma, posso solo osservare che quando “scrivo” (senza includere il termine “poesia”), io… cerco.

Cerco cosa potrebbe essere “poesia” per definizione non mia, ma di qualcun altro, magari oggi, domani, oppure mai.

Oronzo Liuzzi – La prima parola che pronunciai quando nacqui: “p-o-e-s-i-a”.

Luca Crastolla – Scrivo perché il mondo così com’è non mi piace.

Allora estetizzo l’esperienza. Questo movimento mi garantisce due cuscini che mi mettono al ripararo dalle disconnessioni della vita: il primo, rendere i vissuti più vicini alla mia sensibilità, quindi più accettabili; il secondo, mi offre l’illusione che dal padroneggiare l’immagine che ne realizzo, io possa derivare una capacità di gestire più proficuamente, l’esperienza.

A volte questa illusione resta tale, altre, rappresenta la suggestione che guiderà un sovvertimento che supera l’ambito estetico.

Scrivere per questo mi appare un atto autoconsolatorio e autoerotico, che risponde ai meccanismi dei bambini così sensibili alle ninne-nanne.

Io devo non aver superato questo lutto, non accetto la separazione da quel che addolciva la via oscura della prima separazione, e tutta la vita altro non è che un processo di separazione, o un avventurarsi verso l’ignoto.

Per quanto detto l’arte, nel suo atto creativo, è per me mossa dalla necessità di restituirci a qualcosa che intuiamo ma che non si lascia raggiungere. L’arte è una forma di elaborazione del lutto.

Elena Deserventi – Non lo so.Ogni risposta che provo a darmi, non è quella. È come chiedermi perché vivo.

Carla Malerba – Per dare un senso alla vita.

Ciro Tremolaterra – credo di essermi orientato verso questa forma di espressione anche per compensare difficoltà di comunicare attraverso le parole dette e udite, a causa nella mia carenza del senso dell’udito un altro motivo è il piacere di trovare un’armonia nei versi, di avvicinarmi alla bellezza, un certo amore per i versi dei poeti cominciato probabilmente durante gli studi al liceo.

Francesca Luzzio – Scrivo poesie perché essa mi consente di liberare emozioni, sentimenti, pensieri. È catarsi dell’anima.

Marco Maggi – Scrivere poesia perché si ha nostalgia dell’attimo di vita, anche di quello appena vissuto, che resta comunque unico e irripetibile. Quindi, scrivere diventa il solo modo possibile di fermare il tempo, quel tempo interiore che sgorga dal nostro intimo più profondo: per questo la poesia non va sprecata, ma deve essere centellinata, gustata in ogni suo verso… essa nasce e segue un ritmo che ci echeggia dentro, perché porta dentro di noi un suono che, mi piace pensare, è il rumore di fondo dell’Universo.

Viviane Ciampi – Scrivo forse per estrema debolezza.

Kiki Franceschi – Non so fare altro che vedere la vita in modo altro.

Marisa Papa Ruggiero – È una necessità scritta nel nostro DNA. Non sai e non ti chiedi perché c’è, che ci sta a fare, lo fai e basta, noi non decidiamo, è la scrittura che decide per noi, poetica o non. È lo stesso per l’arte, direi, per qualunque forma d’arte. È una “presenza” che ti “colora” diversamente tutto, e non solo nei sensi, ma nel pensiero…


 

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4 Risposte a “AA. VV., Perché scrivi poesie?”

  1. E’ una necessità scritta nel nostro DNA. Non sai e non ti chiedi perché c’è, che ci sta a fare, lo fai e basta, noi non decidiamo, è la scrittura che decide per noi, poetica o non. E’ lo stesso per l’arte, direi, per qualunque forma d’arte. E’ una “presenza” che ti “colora” diversamente tutto, e non solo nei sensi, ma nel pensiero…

  2. La poesia…
    venne come la neve
    Inaspettata…quasi
    sospesa
    colmandomi di grazia
    estranea al senso
    delle cose
    Venne leggera
    senza alcun bisogno
    come primavera

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