AA. VV.
Perché non c’è più la stroncatura?

Partiamo dal presupposto – ma direi da una certezza, purtroppo – che quello che oggi ci viene proposto dall’editoria è una letteratura che fa cadere le braccia (poche pubblicazioni si salvano dal disgustare i lettori), sia che si tratti di volumi sia che si tratti di antologie. Ma il fatto più grave è la mancanza di stroncatura da parte dei critici, ma anche dei lettori. E non è soltanto colpa del “politicamente corretto”, ma di una certa “ignoranza” sia da parte del critico sia da parte del lettore. E intanto la letteratura, con queste premesse, è arrivata ad offendere se stessa.
Ma che cos’è una stroncatura? A parte un piatto tipico della cucina calabrese, originario di Gioia Tauro (una pasta realizzata con i residui di farina e crusca della molitura del grano, con l’immancabile nduja), è critica molto dura e severa di un’opera d’arte, di un libro, di una rappresentazione, etc. Ed è un genere letterario nato con la letteratura, ovvero dal momento in cui i libri incominciarono a invadere il mondo, grazie anche a Giuseppe Baretti, il capostipite delle stroncature rivolte ai letterati suoi contemporanei o del passato, firmandole con lo pseudonimo Aristarco Scannabue, tra il 1763 e il 1765, sul quindicinale «Frusta Letteraria», da egli stesso fondato a Venezia nel 1763, diretto e quasi interamente scritto. È pur vero che non sempre sono tutte positive (ma qui vorrei ricordare quella intelligente, quella che stronca sia gli sconosciuti sia i famosi, no quella messa in atto per asfaltare gli avversari, sia ben chiaro questo) o come sostiene Giovanni Papini, non ha molto a che fare con la critica letteraria, che pure la praticava la stroncatura, arrivando a liquidare Benedetto Croce, sia pure furbescamente. Ma Papini, si sa, è singolare e contraddittorio nel panorama della letteratura italiana.
Dicevamo: che cos’è una stroncatura e perché oggi sembra scomparsa dalle mansioni di un critico? Le risposte, a ben guardare, sarebbero multiple e “insufficienti”; quello che va sottolineato non è tanto una mancanza di coraggio nel dire le cose come stanno ma stare attenti a non inimicarsi nessuno. Lo spunto per questa discussione-dibattito inserita in questo nuovo numero di «Frequenze Poetiche», ce lo fornisce un post di Marco Melillo che si domanda se si può apostrofare un volume regalato una noia mortale: «Non si può dire – vero? – che l’ultimo libro che mi sia stato regalato è di una noia mortale? (È poi anche banale dirlo così, ma uno studio ripiegato su di sé, che produce un “quasi immoto” in poesia, cosa comunica? Cosa dice davvero?)
Come siamo finiti così? Perché da nessuna parte si può leggere “questo libro è brutto, pensato male e scritto peggio”, perché?
Perché non possiamo rivendicare la libertà di una opinione autentica?
Perché furoreggia la mediocrità? Perché viene premiata?
Forse sono io a prendere sul serio la Poesia, lo ammetto. Ma lodi sperticate a certi “parti letterari” non mi fanno più sorridere».

(Qui, come per le precedenti discussioni, pubblichiamo quasi tutte le risposte al post di Melillo apparso sulla sua pagina facebook).


Domenico Setola – Quante belle e giuste domande. Il problema sta nel fatto che ognuno si “inventa” una sua risposta.
E in “quell’ognuno” c’è chi, in base a quali criteri, sulla base di quali strutture, in base a quale prospettiva, per quali interessi. Etc.
Come vedi le tue domande sollecitano in me altre domande.

Marco Melillo – Non lo so, amiche e amici. Forse avrei dovuto premettere “parole di un lettore forte”. Ma poi mi pare le presunte polemiche qui nascano e si spengano. Forse siamo troppo compromessi.

Domenico Setola – Lo credo anche io, dunque bisogna eliminare ogni tipo di compromesso.
Le tue domande sono più che giuste oltre che legittime.
Un abbraccio, Marco.

Simone Migliazza – Il punto è, di quale libro stai parlando?
Tacerne il titolo equivale ad abbracciare un certo status quo… È chiaro che scriverlo comporterebbe una serie di conseguenze. Valutare l’importanza di queste ultime è già una presa di posizione…
Questo per dire che in fondo la risposta ce l’hai: tutto ciò che ti ha portato ad omettere il titolo è ciò che agisce a livello generale e di cui siamo parte.

Marco Melillo – No, Simone, non sono d’accordo, perché in questo caso sarebbe come offendere un inerme. In ben altri casi e soprattutto con case editrici più grandi andrebbe fatto secondo me questo discorso, partendo dai direttori editoriali, che credono di dover andare incontro ai lettori invece di educarli. Non è vero che la varietà sic et simpliciter consente alle opere più significative di affermarsi e di essere lette. Trovo vero invece che il gran chiasso della nullità che ci viene propinata spesso e che spesso troviamo sugli scaffali ci porti a credere che tutte le opere o gli autori siano equivalenti. Non è così: e non è il gran tema della libertà a farci riflettere sulla qualità di un’opera. Quando la poesia diventa un passatempo ogni opera si spaccia per degna. Grazie.

Simone Migliazza – Marco Melillo, lontano da me voler mettere alla gogna chicchessia. Io stesso in alcuni casi mi sono trovato a commentare post in cui si vomitava letteralmente addosso ad autori più o meno noti contestandone i toni. Secondo me, in questo non c’è distinzione: che sia un poeta ignoto o quello appartenente a una nota scuderia, in entrambi i casi il disprezzo fine a sé stesso non sarebbe utile. Al contrario, motivare le proprie asserzioni, esercitare la critica, può essere utile, in particolare proprio nei casi a cui ti riferisci. Tengo a precisare ancora una volta che mi tengo ben lontano da qualsiasi forma di disprezzo. Grazie a te!

Marco Melillo – Simone Migliazza, assolutamente d’accordo!

Andrea Temporelli – Marco Melillo e Simone Migliazza: a un piccolo, si scrive in privato, esprimendo in modo garbato tutte le proprie riserve. A un “grande” puoi scegliere tra la stroncatura e, meglio ancora, il saggio agguerrito che esibisce in pubblico i criteri del giudizio negativo, permettendo a chiunque di “falsificare” l’opinione. Così si comporterebbe un letterato, se una società letteraria esistesse ancora

Simone Migliazza – Andrea Temporelli, sono d’accordo, a meno che l’autore minore, chiamiamolo così, non sia egli stesso a presentarsi in pubblico pretenziosamente o che sia da altri proposto come tale. In quel caso, credo che aprire una discussione pubblica, ovviamente motivando e sostenendo criticamente le proprie affermazioni, possa essere utile.

Rosamaria Cerone – Puoi dirlo eccome! Basta che non sia di amici. Spiego: non comprerò più un libro di amici virtuali o reali se non alle loro presentazioni dove ci sia qualcun altro oltre me. Un dono però è un dono, a chi te l’ha regalato puoi dire che non ti è piaciuto. Ah… ma forse questa persona è l’amico ”scrittore”? E niente. Devi abbozzare. 

Marco Melillo – Rosamaria, non ci sarà nessuno scivolone, tantomeno amicale, non ce n’è bisogno. In ogni caso ho già ringraziato all’atto di dazione. Ma tengo per me il tuo buon consiglio!

Vittorio Rosa – Siamo troppo compromessi? Non tutti. C’è una possibilità di raccogliere tutte le forze e fare come Hulk uno sforzo che strappa di dosso tutte le catene che ci avvinghiano, molte delle quali ce le siamo indossate di buon grado per compiacere, per galleggiare.
L’intento da attuare è la forza della verità. Non c’è più tempo per mentirci addosso. La vita VERA è là, ad un passo da noi.

Marco Melillo – Vittorio Rosa, ”non c’è tempo per questo”… infatti, concordo pienamente.

Rosaria R. Licinio – Chi ama davvero la poesia dovrebbe amare la sincerità che nel caso della stessa è sinonimo di crescita, sia nel bene che nel male. Il mondo dell’editoria è inflazionato e il lettore, nel tuo caso un lettore colto, un poeta, ha il dovere di “fare critica” anche quando si tratta di libri di amici (in tal caso ci si astiene dal formulare un giudizio pubblico a favore di uno privato).

Marco Melillo – Rosaria, apprezzo molto sia l’incisività che la prudenza dettata dal tuo pensiero, grazie.

Rosaria R. Licinio – Marco Melillo, grazie a te per le riflessioni che proponi.
Giorgio Moio – Marco, un critico non deve essere prudente, ma incisivo, con argomentazioni, anche quando si tratta di un volume di un amico. Anzi, proprio perché in questo caso si tratta di un amico, dovrebbe essere anche sincero. Ma in fin dei conti un libro può anche non piacere, e se uno lo esterna mica deve essere lapidato!

Graziella Ardia – Rosaria R. Licinio ma “il poeta è fingitore”. Da quando in qua un artista si assume il compito di fare critica.

Rosaria R. Licinio – Graziella Ardia, un artista si assume il compito di “fare critica” dalla Neoavanguardia, anzi, già dall’800 con Baudelaire.

Graziella Ardia – Rosaria R. Licinio, troppo intellettuale il discorso per essere poesia.

Lucia Stefanelli Cervelli – Epoca mediocre. Manca la liberalità e l’acume di una vera critica letteraria.

Chiara Tortorelli – Condivido Marco… Io credo che ciò che leggiamo sia anche il frutto di tante ipocrisie e buonismi politicamente corretti.

Michele Carniel – Poeta e poesia molto spesso sono in antitesi, il primo sembra rifiutare la verità (sincerità), la seconda invece la svela.

Marco Zuccaro – I poeti pensino a scrivere buona poesia, e non si curino troppo del resto. Voglio dire, qualcuno ha offeso pure Leopardi. Andiamo avanti.

Stefania Di Lino – Rivolgiti altrove, caro Marco, è una questione di salute mentale non frequentare certe “letture”. Sono dannose.

Marco Melillo – Stefania, quanto vero è l’alimento! Buono o cattivo che sia! Giusto, Stefania!

Cesare Cuscianna – Forse la domanda è questa: si può vivere senza finzioni? Io credo non in maniera assoluta.
Marco Melillo – Cesare, per questo apriremo un palinsesto notturno tutto nostro! 

Lina Sanniti – Non è il mio libro, menomale! Te lo regalai cinque anni fa!

Marco Melillo – Lina, ci mancherebbe altro! Ho avuto anche il piacere di leggerti alla presentazione!

Lina Sanniti – Marco Melillo, scherzavo!

Fabio Barissano – Lo puoi dire, ma non come lo si diceva una volta.
Un tempo criticavi un libro anche noto e lo strale finiva lì, nel pantheon dell’editoria illustre.
Oggi ci sarebbero effetti a cascata sulla gente e ciò perché chiunque aspira a scrivere un libro. Criticare facendo un nome famoso tronca d’amblée le velleità autoriali del common street man. Non solo: colpiresti nel vivo la politica dell’editore in oggetto che pubblica il volgare e l’illustre, lo scempio e il veramente poetico per sopravvivere, per soldi o perché cambiato il capitano si rinnova anche l’equipaggio.
Fu Leopardi a dire: «sceso è il sapiente / e salita è la turba a un sol confine / che il mondo agguaglia». E ciò che superficialmente può apparire la confessione di un reazionario, in realtà cela quello che Umberto Eco avrebbe detto cent’anni dopo sul fenomeno Mike. Aggiungiamo che pochi leggono la poesia e quindi certi prodotti sono maneggiati nel circolo di gotha adoranti o invidiosi, per cui meglio tacere.
Ma poi: vuoi mettere che almeno il deludente libro ti sia stato regalato e non bestemmi quegli euro che potevi spendere per tartufi rari, bollette o viaggi illuminanti?

Marco Melillo – Fabio, puoi dire ciò che vuoi, tanto dopo te lo passo… A parte le battute, meglio essere sinceri, credo…

Carla Viganò – Ci vuole coraggio nel dichiarare un dissenso come nel riceverlo ma è necessario

Giorgio Moio – Marco, è con questo essere a tutti costi politicamente corretti che la brutta poesia e/o letteratura e/o arte sguazza nel torbido, nel marciume: perché non possiamo che una poesia, un libro, sia pure regalato fa schifo se veramente fa schifo? Dai, diciamolo! Chi se ne frega! È lo stesso discorso per cui è scomparsa la stroncatura. Se parliamo bene di un pessimo volume a chi giova? Io credo nemmeno all’autore, il quale convinto di aver scritto chissà quale capolavoro, non fa altro che mandare sempre più nel cesso la letteratura, rimarcando sempre di più la distanza che già esiste tra i lettori e i libri. Bisogna accettare anche la stroncatura, se è argomentata e non gratuita.

Marco Melillo – Giorgio, apprezzo sia il temperamento che le motivazioni. Cerco di capire: certamente la letteratura offre qualcosa di molto diverso. Non dico che si perda il gusto di leggere, ma lo scarto è parecchio sensibile tra opere di una vitalità cristallina e opere senza passato, presente e futuro. La stroncatura è un mezzo e un argomento, ma il medium offre uno spettacolo non sempre degno di questi discorsi. Grazie.

Giorgio Moio – Diciamo la stessa cosa, a quanto pare, Marco. Se il medium (lo scrittore o il poeta e tutti coloro che esternano in pubblico la loro arte, la loro creatività) dà uno spettacolo non sempre degno di questi discorsi, non dico che dovrebbe tacere (la possibilità di esprimersi la si dà un po’ a tutti), ma è sacrosanto che si presta a una critica non sempre favorevole. Ma che ne pensi di raccogliere questi post e farne una discussione per la rivista «Frequenze Poetiche»? Il titolo potrebbe essere: Perché non c’è più la stroncatura? O una cosa simile.

Marco Melillo – Giorgio, dico che è una buona idea e ti ringrazio. Ci vorrà molto tempo però per farlo: quello adatto. Credo occorra dare un taglio vertiginoso al reale per farsi capire. Vediamo, intanto grazie.

Agata Criscuolo – Caro Marco, vince la maggioranza: si deve ammettere, questa è la qualità della maggioranza. Una volta non era così (non parlo di 100 anni fa…) i contenuti non sono stati sempre eclatanti, ma per la forma si richiedeva sempre una certa cura. Non è più così.

Maria Gabriella Cianciulli – Non è sempre facile dire ciò che si pensa di un libro donato, fra l’altro, senza destare disappunto in chi si aspetta la lode per il “suo capolavoro”. Ora più che mai in letteratura come per la poesia servirebbe una valida competenza, fatta di persone preparate e non assoggettate agli interessi di parte per rivalutarla. Personalmente preferirei che mi si dicesse un “potresti migliorare” che un falso elogio.

Marco Melillo – Maria Gabriella, concordo.

Giorgio Moio – Maria Gabriella Cianciulli la stroncatura, quella seria, che argomenta il lato negativo di un volume, o se vogliamo, il non piacere un volume, serve proprio a questo, a dire anche ad un amico “potresti migliorare”. Come la vedo io, una stroncatura non deve buttare il bambino con tutta l’acqua. Ma certe cose vanno dette, specialmente se uno è chiamato a dare un parere su un volume; perché, diciamocela tutta, se un tuo amico ti “regala” un volume è perché tu lo legga. E se non ti piace glielo devi dire, altrimenti lo fai rimanere nella convinzione di aver scritto una nuova Divina Commedia, il che non è così: di Divina Commedia ce n’è una!

Graziella Ardia – Ricordate Pessoa? O vogliamo criticare anche lui?

Rosanna Minei – Caro Marco, io non mi preoccuperei più di tanto. Chi non vale andrà presto nel dimenticatoio. Un caro abbraccio!

Marco Melillo – Rosanna ma sì, in fondo è così. Il post è nato non per semplice spirito polemico – perché non ci sono avvezzo – ma semplicemente da un bisogno di consapevolezza e richiesta di consapevolezza in tutto l’ambiente, a partire proprio dai lettori. Perché mi pare che spesso gli stessi scriventi non siano lettori forti. Ovviamente bisogna guardare poi caso per caso. Grazie.

Rosanna Minei – Marco, io credo che il problema non sia in chi scrive (ognuno è libero di farlo come vuole), ma in chi è chiamato a valutare senza tuttavia avere le competenze per farlo.

Marco Melillo – Rosanna, sì! Quando penso che certi grandi editori ad esempio preferiscono dare in pasto alle persone delle opere mediocri, mi viene tanta rabbia. È sintomo di una depauperata civiltà in questo Paese, che non riguarda ovviamente solo la letteratura.

Rosanna Minei – Marco, tempo al tempo e scompariranno nel nulla.

Ketti Martino – Si dovrebbe poter dire, mannaggia, caro Marco. A me è capitato addirittura che un brutto libro mi sia stato consigliato da insospettabili che stimavo.

Bruno Di Pietro – Caro Marco, ti ricordo che tu mi togliesti il contatto perché avevo detto che una poesia di Mazzoni da te postata era orrenda. Lo pensavo allora, lo penso tuttora perché non lo considero un poeta. Buon critico forse. Ma poeta no. Ti sei risposto da solo (in quel caso).

Marco Melillo – Caro Bruno, non ti ho mai “tolto il contatto”, mi pare. Posi quel testo all’attenzione di tutti dopo aver letto un libro che in quel momento, come sai, era parecchio quotato. Nemmeno io preferisco il Mazzoni poeta.

Bruno Di Pietro – Marco Melillo, l’amicizia non il contatto. Su Mazzoni hai cambiato idea.

Marco Melillo – Bruno, sono contento di aver recuperato terreno in quella direzione, spero lo sia anche tu. Ma è un fatto privato come sappiamo. Sul Mazzoni: quel libro per me andava letto, così feci e non me ne pento. Il tuo commento al suo testo era rivolto a lui, non a me, se ben ricordi. Comunque contento di poter discutere serenamente, grazie.

Francesco Bove – È un fatto di combriccole. Poeti e prosatori si identificano con un gruppo e si sponsorizzano tra di loro. Conta pure che ci sono combriccole di critici (ufficiali e non) e non trovi una critica seria.

Marco Melillo – Francesco, ci teniamo stretti i pochi buoni esempi, quando ci sono. Perché le eccezioni ci sono…

Elena Deserventi – Se un libro ti sembra brutto, visto che sei una persona colta e, per le occasioni che ho di conoscerti, anche corretta e coerente, lo devi dire, eccome!!! Se si ammira il bello, senza farsi problemi, a maggior ragione si deve riconoscere il brutto, soprattutto se esibito, lodato e premiato.

Marco Melillo – Elena, ho allargato il discorso, ricomprendendo le dinamiche che ben conosci nel mondo dell’editoria e dei premi, soprattutto quelli più quotati. Lo spunto è nato da un testo o meglio da un autore o autrice per il quale in questo caso non vale la pena di scomodare critiche. È il lamento di un amante di poesia e di un lettore fortissimo, come lo sei tu, che non digerisce il fatto che la poesia sia considerata in alcuni casi come un lodevole ma borghese passatempo.

Elena Deserventi – Marco Melillo, hai straragione!!!!

Giorgio Moio – Comunque, Marco, se un libro non piace lo si vede dalle prime pagine e va detto, anche ad un amico. La vogliamo chiamare stroncatura? Ebbene sì. Evviva il ritorno delle stroncature, quelle argomentate però. La stroncatura, se ben argomentata, è salutare per gli autori, ma non bisogna arrivare per forza alla fine della recensione per dirlo. Anzi, se il recensore la evidenzia alla fine, possiamo dire che è in malafede e cinico.

Mauro Corona – Non basta avere un poeta “famoso” ma occorre anche una critica allineata e asservita. E questa si trova sempre, sui giornali, sulle riviste specializzate… Ma alla fine, il fatto che un libro “resti”, trovi il suo spazio, sia ristampato negli anni, dipende in genere dai suoi lettori. Non nego che molti degli ultimi di poeti famosi non siano all’altezza del nome e dei precedenti. Ne prendiamo atto e li rimettiamo in circolo. C’è un bel mercato dell’usato che li attende e magari dà loro il vero prezzo, la vera quotazione. Ne trovai tempo fa uno della Spaziani con dedica affettuosa dell’autrice all’Anedda…

Marco Melillo – Mauro, quante storie si ascoltano e non sempre con piacere, anzi… (Non mi riferisco a questo tuo aneddoto, ovviamente).

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Una risposta a “AA. VV.
Perché non c’è più la stroncatura?”

  1. La stroncatura è indispensabile al miglioramento di chi ne é oggetto, se è dettata da puro interesse letterario, se è adeguatamente motivata, sé si basa su reali e provate competenze curative di chi la opera.
    Nel caso di un libro donato credo che o si debba tacere per ragioni che riteniamo personalmente consone a questa scelta e quindi nemmeno esprimere una valutazione generica negativa. La classica pulce nell’orecchio, che non giova a nessuno, o operare una critica seria a tu per tu con il donatore.
    E non voglio parlare, perché mi deprimo, di silenzio “lecchino” o di stroncatura invidiosa.

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