AA. VV., Cosa ne pensate della poesia narrativa, della poesia in prosa?

Discussione sul quesito “Cosa ne pensate della poesia narrativa, della poesia in prosa?”, proposto da Giorgio Moio sulla sua pagina facebook. «Sempre più spesso ci imbattiamo in poesie narrative, poesie in prosa (no, in prosa poetica) dove il ritmo e il suono, l’indagine sul linguaggio, l’andamento di una progressione di significanti e/o significati oggettivi, sono sostituiti dalla trama e dal soggetto, per una più facile fruizione, nonché una illusoria apertura ad una più comprensiva lettura. Cosa ne pensate della poesia narrativa, della poesia in prosa? Può essere chiamata poesia un testo basato sul soggetto, sulla trama e su una conclusione?».


 

Flavio Almerighi – a mio avviso il bello della poesia è la sua liquidità e la sua capacità di sfuggire alle teche: è una questione personale, tutto quel che mi arriva in un certo modo (mio e non tuo, tu ne hai un’altro, perché siamo diversi) per me è poesia.

Antonio Spagnuolo – perdonatemi! preferisco l’endecasillabo!

Enzo Salomone  – La poesia è «…hésitation prolongée entre le son et le sens». P.V.

Giorgio Moio – La poesia è un valore di genere letterario, la prosa è un valore formale: non possono né convivere né essere la stessa cosa. Comunque: evviva i poeti!

Gualberto Alvino – Dovresti fare qualche nome, Giorgio.

Giorgio Moio – Qualche nome, caro Gualberto? Certo! Ma, se non ti dispiace, chiedo “aiuto” a Paolo Zublena di Poesia in prosa / Prosa in prosa (Istituto dell’Enciclopedia Italiana). «Se dunque i concetti di poesia e di prosa sono così ambigui, tanto più ambiguo, e anzi senz’altro contraddittorio – ma di una contraddizione che non può essere limitata all’indecidibilità tra due opzioni – sarà quello di poesia in prosa». Detto questo, è «ovvio che la contraddizione, addirittura insanabile, è massima se diamo un significato puramente formale a “poesia in prosa”». La poesia in prosa ‒ oggi molto di moda ‒, di cui si sono serviti anche Rainer Maria Rilke e Iosif Brodskij, appartiene ad una stagione ben definita che, in epoca moderna, parte da lontano, da Baudelaire, limitandoci ai giorni nostri, non prima di aver detto che la “poesia in prosa” approda in Italia sul finire degli anni ’70, «Tutt’altra cosa rispetto alla fortuna del poème en prose in Francia, che da Baudelaire in poi non smette di essere al centro del campo poetico (sia pure con soluzioni anche molto eterogenee: Char, Michaux, Jabès – ma insieme anche l’assai meno lirico Ponge)», il primo ad esordire in questa forma è Giampiero Neri. Tra l’altro Neri, che si definisce un poeta, in un’intervista ha dichiarato che non è la poesia che gli interessa ma l’arte. Ma i “seguaci” si contano ancora sulle dita di una mano. E menomale! Alcuni di questi sono Giuseppe Conte e Paolo Ruffilli. Per trovare un buon numero di “poeti” che si muovono sulle sue tracce, dobbiamo attendere la fine gli anni Duemila: «l’esempio più vistoso e cospicuo è quello di Valerio Magrelli (cui ormai si deve una tetralogia che inizia nel 2003 con Nel condominio di carne e finisce per ora nel 2013 con Geologia di un padre), ma da una prevalente produzione in versi partiva anche Franco Arminio (il cui testo in prosa più interessante è forse Circo dell’ipocondria, 2006: non a caso postfato da Magrelli)». Il grosso, però, arriva verso la fine del 2000, che presenta il punto di svolta nel 2009, «quando un gruppo di autori (Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Andrea Raos e Michele Zaffarano) grosso modo coetanei (nati tra il 1967 e il 1973) sente l’esigenza di far uscire un volume il cui filo rosso è proprio una nuova declinazione della poesia in prosa, che fin dal titolo viene rinominata Prosa in prosa (il volume esce non per caso nella collana fuoriformato diretta da Andrea Cortellessa presso Le Lettere). La prosa in prosa, anzi, la prose en prose è un’invenzione di Jean-Marie Gleize, cui i prosinprosatori italiani esplicitamente si richiamano. Gleize, collocandosi sulla linea di Ponge, di cui è anche studioso, ha definito (e praticato) la “prosa in prosa” come poesia che viene dopo la poesia, come un testo che vuole essere “letteralmente letterale”, non avere altro senso se non quello che propriamente dice». Allora perché chiamarla poesia?

Silvia Elena Denti – Leggete, studiate gente, ci sono distinzioni che vanno tenute ben presenti. Poi, per carità, ognuno scriva quel che crede per diletto, sfizio, sfogo, ma la scrittura seria è molto rara. (Mi ci metto anche io nella bolgia dei mediocri, sia chiaro). Certe dissertazioni andrebbero ben misurate e calibrate, non penso che il salotto del social sia il posto ideale, sto notando troppa superficialità ed egocentrismo e anche i gruppi o pagine aperti (da me e da tanti altri) per dibattere seriamente siano solo divani su cui si poggiano natiche vanitose e mai volenterose né competenti. Dunque… lascerei spazio alle letture importanti per chi ha davvero voglia di conoscere.

Franco Piri Focardi – Lo so, forse esco dal dibattito ma mi va di fare la voce fuori campo e pongo la domanda che sta al centro di tutto, cos’è la poesia? Ed ha davvero senso definirla, rinchiuderla in un recinto, privarla della libertà di cui è fatta e che per tale via riesce a donare a ciascuno di noi quella sensazione di inafferrabilità? Io rispondo così. Per me la poesia non ha confini né di forma né di genere, né di ritmo né di suono, può essere un ruggito, un singhiozzo, uno sfogo, un ritratto, un affresco, un vuoto, un silenzio, una luce, un canto, un… fondamentalmente un cibo per la mente, un momento di riflessione, un terreno fertile per la parola, un tuffo dentro e fuori di noi, un alimento del cuore, uno spazio che si apre ed illumina ma può anche esser tristezza e pianto… che problema c’è, non siamo forse fatti di tutto ciò?

Giorgio Moio – Franco, la domanda è: può essere chiamata poesia un testo basato sul soggetto, sulla trama e su una conclusione? Tutto quello che dici è giusto sullo spazio che apre e illumina la poesia. Ma proprio per questo non può ‒ secondo me ‒ legarsi ad una forma narrante, rinchiusa in un cerchio ben definito, specie ‒ come giustamente dici ‒ la poesia non ha confini né di forma né di genere, né di ritmo né di suono, può essere un ruggito, un singhiozzo, uno sfogo, un ritratto, un affresco…

Franco Piri Focardi – Vedi Giorgio, la mia è una riaffermazione di principio, un bisogno di uscire dalle gabbie. La poesia ci da la possibilità di andare oltre l’apparenza delle cose, di liberarci delle costrizioni, potrei dire che la poesia è anarchia, che si avvicina al senso del nostro esistere senza senso, e forse sbaglierei! A questo punto mi/ti chiedo, perché una poesia non potrebbe somigliare ad una prosa, ad un racconto, con soggetto, trama e conclusione, perché no! Comprendo il tuo pensiero sui distinguo, ma questo accade solo perché le persone, diciamo, gli scrittori, credono che per scrivere una poesia, un racconto, una prosa, o qualsiasi altra cosa ci sia bisogno di un sistema codificato, di una griglia, appunto, dove inserire le parole, le frasi, qualche immagine luminosa, un brividino da fuori riga (ma via è solo una licenza poetica!), per essere certi di non aver sbagliato, di non essersi persi, di non essere criticati. Ecco a cosa servono le strutture, le suddivisioni, a proteggere, in questo caso gli scrittori, dalla libertà, perché la libertà fa paura, perché la libertà assomiglia al caos della vita che la natura ci ha donato e che la poesia, talvolta, ci mostra…

Giorgio Moio – In linea di massima sono d’accordo con te, specialmente quando asserisci che la poesia è anarchia. Ma proprio per questa libertà senza gabbia non può assomigliare alla prosa alla narrativa che hanno, esse sì che ce l’hanno, perché si tratterebbe di accettare un sistema codificato, una griglia, una struttura diversa dalla poesia. Comunque, una buona poesia è una buona poesia, a prescindere dai generi e dalle appartenenze.

Franco Piri Focardi – Confermo che una buona poesia, togliamo il “buona” e diciamo “una vera poesia” lo è a prescindere! Per la prosa e la narrativa starei molto attento lo stesso, perché chi usa la griglia, un sistema codificato, finisce col fare una brutta copia di un altro che invece è riuscito a liberarsene e creare qualcosa di vero.

Giorgio Moio – Stai confermando quello che dico io, caro Franco.

Franco Piri Focardi – Allora, Giorgio, se io, affermando il mio pensiero, confermo quello che tu dici non posso che gioire. A meno che,le parole non ci traggano in errore…

Lia Aurioso – Franco Piri Focardi pienamente d’accordo con lei. Privare la poesia della libertà espressiva o rinchiuderla nei canoni metrici equivale, oggi, a soffocarla. Nessun confine, quindi, che sia libera di esprimere tutta la materia di cui siamo fatti, sogno, emozioni, indignazione, pensiero, amore e cuore… l’importante è che “funzioni” e che mantenga il necessario grado di musicalità e di ritmo.

Giorgio Moio – Quello che manca proprio alla poesia narrativa o in prosa, Lia, o come dice più giù Fausta Squatriti, la poesia discorsiva, che forse è il termine più appropriato per definire questo genere.

Franco Piri Focardi – Giorgio, lo sai, sono anni che sperimento, incrocio, taglio e scrivo e non so più definire quel che faccio… mi suona e mi fermo. Prova a definire questo. Titolo: “Droni di passaggio”.

Franco Piri Focardi – Droni di passaggio. statici occhi incolore.

Una selva di nervi si oppone al bilancio di aghi.

Ad ogni ora ogni tempo permane con l’insolito andare. la rima del mare. lo guarda traverso con l’animo perso. si uccide nel cuore. ha svuotato la borsa, le chiavi, un guanto spaiato, la patente scaduta, un vecchio cellulare e il groviglio di polveri antiche nel fondo di pelle. non sa di essere sola nel mondo fra i gurgiti d’ogni ribelle. agli istinti dei padri guarda avanti. rosso. arancio. toglie il freno spinge il motore ingrana la marcia. è oltre la piazza. il reale deforma i contorni passa senza rumore ed affonda affonda la rosa sovrana. la pelle osannata. il canto gridato. sanno forse il perché? l’avvolge con garze e profumo di sterili attese, si guarda i piedi deformi, lo strato urticante della porta sbattuta con un tonfo rimasto nell’aria. ancora si vive chiudendo le mani sugli occhi.
L’attesa davanti a quel dire di fare è forse solo sognare un altro spazio da amare.

Viola Amarelli – «Può essere chiamata poesia un testo basato sul soggetto,sulla trama e su una conclusione?» perché, cosa sono l’Iliade e l’Odissea?

Giorgio Moio – Certo. Ma se ti ricordi, a scuola dell’Iliade e dell’Odissea i professori ci facevano fare la “versione in prosa”. Quindi, si presume che non si trattasse di prosa, di narrativa.

Viola Amarelli – Infatti, era poesia basata su soggetto, trama e conclusione e quindi poesia narrativa, come lo sono del resto tutti i poemi da la Comedia al Paradiso perduto alla ragazza Carlo. Mi sembra che invece oggetto del tuo post non sia la poesia narrativa, che ha una tradizione millenaria, ma le scritture liminali di “prosa in prosa”, che del resto si collocano consapevolmente tra la soglia, sperimentando soluzioni formali innovative, come da sempre fa qualsiasi espressione artistica degna di questo nome, con esiti ovviamente diversi a secondo delle capacità degli autori, poi se qualcuno è affezionato a un copyright della poesia=lirica in endecasillabi direi che è una scelta personale di gusto, ma decisamente non più canone, se mai lo è stato, da tempo.

Giorgio Moio – Non è il mio caso. Le mie poesie lo stanno a dimostrare.

Fausta Squatriti – Sono d’accordo con quanto scrive Moio, sulla poesia discorsiva, prosastica quando non prosaica. Io credo che il desiderio di minimalismo abbia invaso la sfera della ragione stessa della poesia, scambiando il contenuto con la sua forma espressiva da condividere. La poesia è pensiero, a volte il pensiero si manifesta attraverso l’emozione, ma non esiste emozione se non è provocata dal pensiero. La poesia del ’900 ce lo ha insegnato molto bene, facendo a meno della gabbia della forma, i maestri hanno, di pari passo alle altre arti, indagato nella materia viva della psiche, creando da lei e per lei, inedite, arditissime immagini. Senza rima, senza costrizioni costruttive, ma con altre regole, quelle dell’uso libero, ma non arbitrario, della parola come metafora, sempre, di qualche cosa di ‒ altro ‒. La poesia può essere astratta, evocativa, figurativa, concettuale, ma che sia poco, pochissimo narrativa, per quello esiste la prosa. In poesia, la narrativa è quasi sempre banale.

Kiki Franceschi – Vero.

Giorgio Moio – Ecco, cara Fausta. Questa è la poesia. In poesia, aggiungerei, la narrativa è sempre autobiografica, autoreferenziale, due aspetti che credevamo di aver superato dopo la “linea lombarda”, la “parola innamorata”. Ma poi è venuto il postmoderno e ha ricacciato indietro la poesia di quasi un cinquantennio per non dire niente o per non prendersi la responsabilità innovativa che la poesia esige. È facile parlare di sé, del proprio privato con un linguaggio povero codificato: quasi tutti i poeti sono in grado di approcciarsi a questo modo di fare. Approcciarsi all’innovazione poetica si deve essere dei POETI! Tutto il resto è noia, recitava una famosa canzone di Califano.

Violetta Nicolai – Trovo sublime la combinazione poesia-prosa; uno dei libri più belli che ho letto negli ultimi anni La cotogna di Istanbul di Paolo Rumiz ne è un esempio. Evviva i poeti.

Giorgio Moio La poesia è un valore di genere letterario, la prosa è un valore formale: non possono né convivere né essere la stessa cosa. Comunque: evviva i poeti!

Gualberto Alvino Dovresti fare qualche nome, Giorgio.

Giorgio Moio – Qualche nome, caro Gualberto? Certo! Ma, se non ti dispiace, chiedo “aiuto” a Paolo Zublena di Poesia in prosa / Prosa in prosa (Istituto dell’Enciclopedia Italiana). «Se dunque i concetti di poesia e di prosa sono così ambigui, tanto più ambiguo, e anzi senz’altro contraddittorio – ma di una contraddizione che non può essere limitata all’indecidibilità tra due opzioni – sarà quello di poesia in prosa». Detto questo, è «ovvio che la contraddizione, addirittura insanabile, è massima se diamo un significato puramente formale a “poesia in prosa”». La poesia in prosa ‒ oggi molto di moda ‒, di cui si sono serviti anche Rainer Maria Rilke e Iosif Brodskij, appartiene ad una stagione ben definita che, in epoca moderna, parte da lontano, da Baudelaire, limitandoci ai giorni nostri, non prima di aver detto che la “poesia in prosa” approda in Italia sul finire degli anni ’70, «Tutt’altra cosa rispetto alla fortuna del poème en prose in Francia, che da Baudelaire in poi non smette di essere al centro del campo poetico (sia pure con soluzioni anche molto eterogenee: Char, Michaux, Jabès – ma insieme anche l’assai meno lirico Ponge)», il primo ad esordire in questa forma è Giampiero Neri. Tra l’altro Neri, che si definisce un poeta, in un’intervista ha dichiarato che non è la poesia che gli interessa ma l’arte. Ma i “seguaci” si contano ancora sulle dita di una mano. E menomale! Alcuni di questi sono Giuseppe Conte e Paolo Ruffilli. Per trovare un buon numero di “poeti” che si muovono sulle sue tracce, dobbiamo attendere la fine gli anni Duemila: «l’esempio più vistoso e cospicuo è quello di Valerio Magrelli (cui ormai si deve una tetralogia che inizia nel 2003 con Nel condominio di carne e finisce per ora nel 2013 con Geologia di un padre), ma da una prevalente produzione in versi partiva anche Franco Arminio (il cui testo in prosa più interessante è forse Circo dell’ipocondria, 2006: non a caso postfato da Magrelli)». Il grosso, però, arriva verso la fine del 2000, che presenta il punto di svolta nel 2009, «quando un gruppo di autori (Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Andrea Raos e Michele Zaffarano) grosso modo coetanei (nati tra il 1967 e il 1973) sente l’esigenza di far uscire un volume il cui filo rosso è proprio una nuova declinazione della poesia in prosa, che fin dal titolo viene rinominata Prosa in prosa (il volume esce non per caso nella collana fuoriformato diretta da Andrea Cortellessa presso Le Lettere). La prosa in prosa, anzi, la prose en prose è un’invenzione di Jean-Marie Gleize, cui i prosinprosatori italiani esplicitamente si richiamano. Gleize, collocandosi sulla linea di Ponge, di cui è anche studioso, ha definito (e praticato) la “prosa in prosa” come poesia che viene dopo la poesia, come un testo che vuole essere “letteralmente letterale”, non avere altro senso se non quello che propriamente dice». Allora perché chiamarla poesia?

Laura Chiarina – Ci sono i “benedetti” che hanno musicalità senza saperlo e senza sapere cosa sia la metrica.

Certo, poesia era un canto libero, pur se “costretto” nelle regole.

Strada se n’è fatta tanta. Penso l’uso della metafora, del sillogismo, pur se i versi sono liberi dalla metrica, facciano la differenza.

Un semplice scritto descrittivo, o biografico, pur se nella forma del componimento poetico, personalmente, non lo riterrei poesia.

C’è da dire, per contro, che vi sono scritture in prosa, con punte e contaminazioni liriche, tali da confondere i due modi espressivi.

In ogni caso, evviva la scrittura.

Kiki Franceschi – La poesia è ritmo, suono e gesto. Non racconta ma sta in equilibrio sull’invisibile, impercettibile, infinitesimale, improbabile, inavvertito luogo della mente. È fuori del tempo, dimora nello spaziotempo del sentimento. La prosa è reale, è racconto o indagine, si muove in un tempo che scorre orizzontalmente, entro una storia iniziata nel prima e conclusa nel dopo. Sono inconciliabili. Anche la ballata, che sembra sviluppare una narrazione, si poggia su un ritmo musicale che trasporta altrove.

Beatrice Mogetta – Il professor Nazario Pardini, grande letterato dei nostri tempi, ha molto dissertato sulla consuetudine di scrivere “poesie in prosa”, giudicando la prosa e la poesia due espressioni artistiche nettamente separate. Io credo che le linee di demarcazione tra le due forme di scrittura si siano confuse al momento che si è ritenuto che si potesse fare a meno della metrica nella poesia.
Allora a me, che amo la poesia, ma non sono una critica letteraria, basta che il brano abbia una certa liricità, una musicalità e che soprattutto parli al mio animo con immagini efficaci al punto di farmi sentire parte di un tutto.

Scrive il Pardini:

Non solo davanti al rifiorire di gemme a primavera.

Non solo davanti ad un tramonto che ti annulla.

Ma si scrive davanti ad una chiesa solitaria, davanti ad un tempio maestoso.

Davanti al grido di una donna persa

fra le grinfie nerastre del dolore.

È da lì che sgorgano i suoi versi…

Ecco!

Francesca Luzzio La poesia deve essere compresa nella sua valenza semantica a prima lettura, ma ciò non significa che deve rinunciare alle sue preminenti caratteristiche formali. Ritmo, melodia, sporadiche rime, assonanze o consonanze sono fondamentali per parlare di poesia. In caso contrario è prosa lirica.

Silvia Elena Denti Leggete, studiate gente, ci sono distinzioni che vanno tenute ben presenti. Poi, per carità, ognuno scriva quel che crede per diletto, sfizio, sfogo, ma la scrittura seria è molto rara. (Mi ci metto anche io nella bolgia dei mediocri, sia chiaro). Certe dissertazioni andrebbero ben misurate e calibrate, non penso che il salotto del social sia il posto ideale, sto notando troppa superficialità ed egocentrismo e anche i gruppi o pagine aperti (da me e da tanti altri) per dibattere seriamente siano solo divani su cui si poggiano natiche vanitose e mai volenterose né competenti. Dunque… lascerei spazio alle letture importanti per chi ha davvero voglia di conoscere.

Alfonsina Caterino – Penso che la Poesia ha delle accezioni provvidenziali e speciali che la rendono tale e la sua purezza, come atto di fede, non “consentirebbe implicazioni e diversificazioni in andante”. La poesia prosastica rimane, al suo cospetto, tema che scorre e il suo prodotto, discorso.

Penso che la Poesia e la Prosa siano da considerarsi stili in netta opposizione in quanto distinguono due funzioni fondamentali della scrittura. Da una parte la Poesia, la quale nasce come esigenza profonda dell’animo umano, di riuscire a cogliere, attraverso linguaggi allusivi, profondi e provocatori, la rivelazione dei nessi nascosti nelle cose, nell’universo, affinché il valore della realtà e la sua rappresentazione vengano continuamente superate, da assetti estetici caratterizzanti altro ed altri mondi a cui l’uomo aspira, sin dai primordi, come svisceramento del mistero e dei limiti in cui ha coscienza di stare. Dall’altra parte, la Prosa che per la struttura su cui poggia l’impianto narrativo, per le successioni degli avvenimenti che vi accadono in sequenza causale-temporale, per i linguaggi utilizzati specchianti l’uomo che dialoga nella società del proprio tempo, risponde a canoni le cui ragioni sono essenzialmente, raccontare storie infinite che gli uomini vivono e possono vivere, realmente. Riguardo ai due stili che si fondono all’interno della Narrazione poetica, io credo che bisogna, all’interno dell’opera narrante, creare due impianti di scrittura in cui ben si devono delineare forme ed andamenti per cui, la resa poetica affiora come valore aggiunto che non intacca lo svolgimento dei fatti narrati.

Marisa Papa Ruggiero – Sperimentare una sensibilità di ritmi, di rimandi allusivi, tentare di mettere in campo una dinamica cromatico-sonora che si esprima nella specularità incrociata di idea-visione non per raccontare col linguaggio ordinario e coi materiali industriali la cosa, ma per ricrearla in poesia. per disegnarla nello spazio… Il resto è cronaca.

Unda Julia – Che fine hanno fatto i lettori? Sono tutti impegnati a scrivere poesie in prosa o prosa in poesia (che è più chic).

Antonio Voltolini – Per un contributo alla riflessione suggerisco la lettura della pagina La Porta sul Mare. Grazie.

Antonio Spagnuolo perdonatemi! preferisco l’endecasillabo!

Enzo Salomone La poesia è «… hésitation prolongée entre le son et le sens». P.V.

Anna Lauria – Vi leggo con estremo interesse…

Daniele Ventre – Proesia e posa.

Tonino Petrella – Di quelli conosciuti?

Alma D’Amato – Sì, penso che in qualsiasi modo ci si esprima, se le parole, sgorgano dal cuore, e con sentimenti puri, tutte le espressioni diventano Poesia.

Giorgio Moio – Il problema, Alma D’Amato, è che anche le parole che si usano in una poesia narrativa o poesia in prosa, sono descrittive, prive di ritmo e di metafore. Partendo dall’ottava di Boccaccio (Fugge tra selve spaventose e scure, / tra boschi inabitati, ermi e selvaggi. / II mover delle frondi e di verzure, / che di cerri sentia, d’olmi e di faggi, / fatto le avea di subite paure / trovar di qua e di là strani viaggi; / ch’ad ogni ombra veduta in monte o in valle / temea Rinaldo aver sempre alle spalle), che divenne il metro tipico della narrazione in versi, dal volgare ad oggi si è sempre più spinti verso una poesia in prosa, al punto da contaminare i confini, le rispettive prerogative. È pur vero che la contaminazione (molto apprezzata e usata anche da me) è uno degli elementi della sperimentazione poetica, ma si tratta di una commistione di linguaggi, una ricerca di ritmi e sonorità inesplorati, no di generi. Insomma, la poesia non è riconducibile a un modello letterario unitario ma si applica indifferentemente a molteplici campi, a molteplici piani interpretativi, mentre la prosa ha un suo inizio e una sua fine, una “scaletta” in qualche modo da rispettare.

Alma D’Amato – La ringrazio per avermi erudita in merito, ne sono stata molto contenta, aver avuto un ragguaglio da lei. È un piacere… La ringrazio e la saluto con simpatia.


 

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