MIMMO GRASSO, Dieci poesie

La mano che manovra la mia mano
ha centomila pollici. La mano
ha il mondo in pugno. Se apro la mano
il bosco – ecco – perde le sue foglie.
È la mano che afferra al volo l’ah!
di meraviglia e che ogni mattina
fa il primo gesto: passa nei capelli
per rimettere in ordine i pensieri.
È la mano che in tutte le maniere
mi dà una mano, fa ombre cinesi
quando mi prende la malinconia.
Più veloce dell’occhio, questa mano
fa giochi di prestigio con le carte,
mi soffia le parole coe un ladro,
ma se impone la mano sulla spalla
fa il miracolo: divento loquace.
Questa mano ammanetta la mia ombra,
misura palmo a palmo i miei maneggi
ma è una mano che subito si stanca
quando disegna nodi sulla sabbia.
(Da La pietra dell’arrotino)

*

La pietra dell’arrotino.
La trovai accanto a un termine.
Stava lì, come nota a piè pagina
del liber fulguralis che andavo immaginando.

Stava. E inerte. In attesa. O sospesa.
In un lampo ascoltai l’universo
produrre una frizione attorno all’orlo
di questa pietra (un po’ stanca, usurata).

La rubai, come un ladro. Ritornai
(forse un senso di colpa od un sospetto)
al luogo del mio furto. Claudicando
un vecchio la cercava (si appoggiava
allo scettro-bastone del viandante).
Mi sorrise, sicuro e dubbioso.
Si avvolse nel mantello di un verdetto
(ricordai il misantropo di Breughel)
lasciando un malumore fra le zolle.

L’ho messa qui, zavorra e fermacarte
sulla mia scrivania. Qui potrà riposare.

A volte fa scintille, mola il sonno.
È una pietra che va per il sottile.
Il re degli arrotini mi ha ceduto il mestiere:
manovrare (lui col ginocchio, io col gomito)
un marchingegno molto elementare,
modificare il taglio con l’attrito
(Ibid.)

*

Dopo aver meditato a lungo sopra il trespolo
un dì il gallo si disse: «posso volare. ho le ali».

Fatti tutti i suoi calcoli e disegni,
si buttò da un muretto. Cadde a terra
di culo, starnazzando (sghignazzo
del pollaio, applausi e richieste di bis).

Tra gli uomini il poeta
a volte è come l’albatro, semblable
au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer
,
a volte come il gallo col culo indolenzito
che fa ridere i polli,
bipede cionco coi piedi per terra,
uccello senza volo
(Ibid.)

*

«Deve dare emozioni, la poesia», « ! »,
rimbrottano due esimi luminari
nel pubblico dibattito sul tema
Fare poesia: funzioni e prospettive
dove, ovviamente, mancano i poeti,
non so che cazzo dire ed i presenti
hanno facce d’inediti. I chiarissimi due
(mi dicono all’orecchio: «Cardiologo e neurologo».
sono venuti qui perché poeti?.
La poesia come pronto soccorso? )

«Ed infatti – rispondo – deve dare emozioni
come l’otto volante, un incidente,
un gol dal centrocampo o una rapina;
l’infarto è un accidente d’emozione
e che dire dell’ictus nei versi?
Poesia come emozione? Ergo è poesia
la sentenza che pende sulla testa,
l’incontro con l’ufficio delle tasse,
un giro sulla guzzi, il tram puntuale,
un conto assai salato al ristorante,
la multa messa sopra il parabrezza.

«Ma lei (ruspidi e trucidi) cazzeggia?»
Si alzano e se ne vanno i luminari
col cuore fibrillante e i nervi a pezzi.

riprendiamo il dibattito

                                 ((Penso
che avranno avuto un ottimo motivo
per chiedere emozioni. Specialisti in malori,
gli sembro un dilettante in plusdolore
io che arrabatto tac, che faccio ecografie
ai testi di poesia, che conto i peli
in culo all’emozione e perdo tempo
in latent class analysis, che lotto
corpo a corpo coi tipi corpo otto,
io che pubblico versi sott’olio,
che non conosco il sale del contagio emotivo

(Qualcosa non consuona nel mio cuore,
come un ramo spezzato. Ho una fitta.
C’è chi vive per scrivere e chi scrive
– è il tuo caso – per vivere. Confessa:
perché scrivi? vuoi dirtelo? nel verso
hai ciò che hai perso)))

(Ibid.)

*

Un confessionale. uno come questi del Gesù Nuovo,
con il cartiglio e l’orario di ascolto.
733.655 confessioni e circa 8.000.000 di preghiere
dal ‘600 ad oggi, e per ognuna
delle 42 postazioni d’ascolto
(ho contato un peccato mortale e tre veniali
come media pro-capite, prudente).
È un bel brusìo, una pioggia atramentaria.
L’ebano è ortodosso:suda luce.
Di là della tendina odore di contagio.

C’è poi molto apparato per la scena,
da Sant’Uffizio: cupole, colonne,
capitelli, spadoni, putti, mostri.
Le spirali debordano (la spinta
è sfuggita di mano al maestro d’ascia).

Anch’io emano un sentore
di resina, di fiaccola o candela,
tipico di poesia confessionale.

Ne voglio uno così come scriptorium.
In linguaggio talare, in ginocchio,
al di là della grata mi sarebbe più facile
darmi l’assoluzione per i molti peccati
(ahimé sempre verbali) che ancora non ho fatto.
(Ibid.)

**

Da giovane stappavo la birra coi denti.
I versi li avvitavo uno sull’altro
spinti dalla mia forza, non dal come
della tenuta. Difficilmente il lavoro
era netto, essenziale, necessario.
Un poeta mi disse: «Scarti. buoni
per qualche forno di una pizzeria».

Rileggo vecchie cose. Sono io
questa mezza calzetta che ha scoperto
la ruota, il fuoco, l’acqua calda? Eh, sì.
Ma guarda un poco: qui c’è scritto «cuore».
A scriverlo oggi proverei vergogna,
è come se mostrassi la dentiera.
Mo ci riprovo: «cuore»: è solo legno,
protocollare, austero, imperturbato
come notaio che emette la dovuta parcella.
Pago allora di più ed aspetto il resto,
divento creditore: è un vecchio trucco.
Quel «cuore» lì è frenetico ma aveva
il cuore di stappare la birra con i denti.
Adesso quando scrivo non produco più trucioli,
il lavoro è automatico, governo
l’istinto come semplice variante;
uso squadra, livella, compasso,
tutto è liscio, essenziale, allineato,
(a sinistra, ma a destra vedo denti di sega)
(Da Numen)

**

Il semaforo. Deve passare il treno.
Ho l’auto in sosta ed il motore spento.
Siamo fermi da ormai mezz’ora buona.
Guardo in alto, per caso: una figura
sta affacciata al balcone come in posa
da santo bizantino. Disturbata,
quasi colta in flagrante, abbassa le persiane.
Dio potrebbe essere quel signore nel bar
che inzucchera il caffè. Nevica gesso.
Il treno non si vede. Incontri sempre
un passaggio a livello se in agenda
hai appuntamenti urgenti. È molto tardi.
Sei costretto al contatto con te,
a mangiarti le unghie (ormai sei giunto
al mignolo e già quella del pollice
è cresciuta, incarnata) ad aspettarti
lungo un binario morto e senza scambio.
Laggiù, sul cartello stradale, c’è scritto

«ATTENZIONE – BAMBINI»
con due piccole ombre
– in mano una cartella misteriosa –
in un quadrato rosso, fuggitive
(Ibid.)

**

Lo specchio apre le valvole
ed ecco appare il buio, bugia della luce,
col suo vento negato, familiare
come un vecchio ricordo
che conosciamo ma non comprendiamo

Un mercurio ci bagna smemorati
e ogni oggetto è là-quando,
dormiente accanto a noi che lo sogniamo

Siamo così ammaestrati e obbedienti a un richiamo
che comprendiamo ma non conosciamo,
incerti sulle tracce di un Orfeo
come se ci dovessimo ascoltare,
ma di spalle e solo adesso,
in quest’altra ultima volta,
così ultimi e noi, quasi ulteriori
(Ibid.)

**

a Vittorio Avella ed Antonio Sgambati

Nell’ospedale osservo le pareti.
È strano: sono perpendicolari,
indifferenti e lisce, bianche o bianche,
proprio come si addice a una parete.

In questi casi si fa testamento.
Cosa lasciarvi, amici?
Poco prima
di bere la cicuta un uomo disse
che aveva fatto un sogno, che una donna,
come spolpando acqua, l’ammoniva
a non dimenticare di far musica e versi.
Diventa obliquo il muro, mostra crepe.

Cosa vi lascio? Non dimenticate:
è nelle pause tra una nota e un’altra
che si nasconde il canto della vita
(Ibid.)

**

al mio cane

Signore, Stille è morto. La mia casa
ha guaiti negli angoli. Buon cane pastore,
radunava le ombre nell’ovile,
si accucciava contento quando ero contento.

L’ho trovato stamane tra i limoni, vegliato
dal suo lupo custode. È morto solo,
come si addice a un cane,
con la luna negli occhi. Questo è stato
il suo estremo riporto.

Accoglilo tra i santi, padrone del silenzio.
È un cane che fa sempre il suo dovere:
riporterà ai tuoi piedi ciò che ti lasci indietro,
e l’amore e il perdono.

Mille fenici bruciano nel suo spirito ardente
e nessuno ora abbaia
al ladro che si cela nel mio cuore.
(Ibid.)


Biografia di Mimmo Grasso


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