Va con sé che lo “scrivere”, considerata da tutti una virtù, non può che scontrarsi con il “leggere”, il cui perseverare almeno di questi tempi può sembrare diabolicum, in quanto si fatica non poco a inseguire le trame degli interminabili “sequel” che la letteratura mondiale propina ad infinitum in tutte le Fiere del Libro da Torino a Francoforte, da New York a Caracas, quasi da far pensare a un’ossessione per la scrittura che supera la modesta disposizione a leggere degli italiani …
«Del resto che fa uno scrittore? Non può fare altro che scrivere. Ma cosa e perché scrive? […] Per quel pathos della passione che sta alla base del pensiero, e dunque alla base della scrittura letteraria o filosofica. […] Uno scrittore scrive perché ha qualcosa da dire, ma in primo luogo scrive per scrivere» (Franco Rella).
E per quanto sembra abbondino in Italia più gli scrittori che i lettori, almeno questo è ciò che rilevano alcune statistiche, si è propensi a dare la palma della vittoria alla lettura, in ragione del fatto che anche chi scrive nel frattempo è, per così dire, costretto a leggersi …
«Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie d’istrumento ottico che è offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso» (Marcel Proust).
Ma se gli italiani non sembrano preposti al leggere (perché più artistici e creativi di altri) a chi attribuirne la colpa, se non alla tensione che spinge chi scrive dentro se stesso, per superare se stesso, lì dove le carenze sono più sentite, cioè all’organismo scolastico preposto all’insegnamento? Ma attenzione…
«Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi» (Michel Houellebecq).
Tuttavia la “Squola” non è la sola ad avere delle colpe a riguardo, ben altre ne hanno i “grandi editori” nostrani, che nel chiudere le porte in faccia alla letteratura nazionale, si ostinano a immettere sul mercato migliaia di titoli stranieri che hanno acquistato a costo zero o quasi, e che diventano economicamente redditizi solo quando nel mare magnum delle pubblicazioni, uno di essi riesce a superare gli step della distribuzione per poi essere trasformati in paperbacks di scarsa qualità e di più largo consumo.
Va così che la distribuzione è molto importante per una casa editrice, mentre i piccoli editori sono generalmente snobbati dai grossi distributori, perché non sono reputati sufficientemente redditizi. Di conseguenza la diffusione della cultura contenuta in un libro, è nelle mani del reddito. E i “piccoli editori” fanno quello che possono per tirare a campare, mentre i loro libri finiscono direttamente sulle bancarelle dei mercatini dell’usato col timbro “copia campione” con la scusante che…
«Quando vendi ad un uomo un libro, non gli vendi 12 once di carta, un po’ di inchiostro e della colla, gli vendi un’intera vita» (Christopher Morley).
Ciò a forte discapito dei tanti “piccoli editori” cosiddetti di nicchia (perché costretti dagli alti costi produttivi), o di quelli più oculati che mettono molta cura nelle scelte, nella produzione estetica come nella selezione dei testi e che sono sempre alla ricerca dell’originalità. Come nei racconti così nei romanzi e nella preziosità dei saggi, e che talvolta si “svenano” (economicamente parlando) per pubblicare un libro di poesie che nessuno leggerà. E solo perché…
Nello scrivere «Il più utile dei talenti è di non usare mai due parole quando una è sufficiente» (Thomas Jefferson).
Ma non perché non valesse la pena pubblicare quel testo, in quanto se l’editore lo ha pubblicato è perché ci credeva. Bensì per la trascuratezza degli italiani che spesso nelle traduzioni vanno smarrendo il senso della propria lingua, della musicalità intrinseca nel linguaggio, nel gusto della citazione, in quella che era la gioiosità della vita in comune.
Perché in fondo la poesia a questo serve, anche quando è triste, anche quando affronta temi ostici come il dolore e la morte; aiuta ad aprire un canale di comunicazione verso il prossimo, per una umanità spinta al miglioramento, allo scambio reciproco d’amore. Non è per caso che un vecchio saggio abbia detto: «Possiamo vivere nel mondo una vita meravigliosa se sappiamo lavorare e amare, lavorare per coloro che amiamo e amare ciò per cui lavoriamo» (Lev Nikolaevic Tolstoj).
Di certo ha ragione lui, il grande vecchio, e ne avrebbe ancora da vendere, se per una volta ci chiedessimo dove è finita la “bellezza”? Se non è servita a migliorare noi stessi, per una migliore qualità della vita? Se non l’abbiamo utilizzata per elevarci culturalmente, per riappropriarci della materia pur effimera dell’arte che tutti ci nobilita? Che ne è stato dei sentimenti se del resto, scartabellando qua e là sui banchi d’una qualsiasi libreria, finanche i romanzi cosiddetti d’amore si offrono a ogni sorta di vilipendio contro l’umanità tutta, sprofondando nel vituperio, nello stupro, nell’abominio infantile e femminile? Per non dire dei talkshow in cui ormai accade di tutto di più e ci si accapiglia per le cose più futili per mascherare i veri problemi che incombono sulla società.
E che dire del cinema, in cui l’impossibile ormai si affranca all’indicibile; dove ogni singolo film fa più morti d’una guerra nucleare e che poi si chiude per mancanza di attori e attrici da mandare al macello, nell’attesa della più provvidenziale delle parole: quel “The end”, che mette fine allo strazio subito. Cos’altro ci resta da ascoltare che non abbiamo ascoltato, se non un consiglio illuminato? «Leggere e ascoltare appartengono alla medesima arte: quella di apprendere» (Mortimer Adler).
Ma che di rincalzo un altro importante scrittore avverte: «La lettura è una difesa contro le offese della vita» (Cesare Pavese).
La letteratura non ha mai ucciso nessuno, al contrario dei telegiornali che ad ascoltarli danno i brividi; o delle riviste impegnate che, solo a sfogliarle, ci si sporcano le mani del sangue altrui. Così come nei romanzi si preferiscono i fatti di cronaca nera, la guerra fratricida, la fuga degli immigrati, lo sterminio etnico, le storie insulse sul sesso che sfido chiunque a leggere senza restarne schifato, e che sono discriminanti della “bellezza di amarsi” intrinseca, ad esempio, in una coppia; del prodigarsi nell’insieme costruttivo della famiglia; dell’abbracciare la religiosità come atto di fede o di adoperarsi per il sociale in senso umanistico. Non è forse preferibile leggere un libro che parli ancora di quei sentimenti che pure in realtà proviamo, perché siamo fatti di carne, e la carne spesso chiede sensazioni? O magari rileggere un “classico” che a suo tempo ci aveva fatto sognare…
«Definizione di un classico: un libro che si crede che tutti abbiano letto e che spesso tutti credono di aver letto» (Enoch Arnold Bennett).
Quando addirittura non sia preferibile cedere spazio a sano ozio meditativo, magari quello degli antichi filosofi greci e latini: relativamente altruistico, sostanzialmente apologetico, insomma a quell’ozio incondizionato che di tanto in tanto faremmo bene ad assumere come stile di vita. Sebbene qualcuno avverte che: «Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose… ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile» (Italo Calvino).
Si fa ben dire, ma gli editori in primis lamentano che i libri non si scelgono più in libreria (che stanno tutte chiudendo per far spazio a mega-store del consumismo allargato), ma si comprano al supermercato distinti in “usa e getta” e “perfetto ciarpame”; o finiscono per così dire sulle bancarelle del “riciclato”, per poi scoprire che non erano neppure stati aperti. Ma anche così va bene: comprateli pure dove volete, purché li leggiate. Come qualcuno ha scritto: «C’è qualcosa di peggio del bruciare (o gettare via) i libri, è non leggerli» (Joseph Brodsky).
Tuttavia voglio qui fare un encomio a tutti coloro che nel frattempo mi stanno leggendo, ma non perché leggono me, perché immagino e spero che si avvalgano delle mie recensioni e dei miei articoli per poi entrare fattivamente nel “circolo” dei lettori o anche soltanto il desiderio di “imparare a leggere” in modo più approfondito; o magari che prima di mettersi a scrivere il libro della propria vita, che si guardino attorno meravigliandosi di quanti (prima di loro) l’hanno già fatto: dai calciatori ai politici divenuti “letterati” di rango; i primi perché a furia di correre dietro a una “sfera” sono andati nel pallone; i secondi perché visto che le loro “idee” non saranno mai trasformate in leggi preferiscono dar voce alla carta stampata per tramandare ai posteri qualcosa di se stessi.
Così come avviene per i portieri di stabili che dopo aver ficcato il naso per anni negli affari degli altri sono finiti per immedesimarsi ora in questa ora in quella situazione per darsi importanza; per non dire delle finte massaie-palestrate diventate improvvisamente tutte esperte di cucina senza aver mai cucinato un uovo al tegamino; o delle accompagnatrici di cani che da finte-padrone finiscono per assomigliare agli animali che conducono al guinzaglio; e oltre, fino alle veline che per una starnazzata in TV vanno facendo le capriole. Davvero non se ne può più. Ma se: «La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare» (Piero Calamandrei).
Allora, come pure ha detto un grande filosofo del nostro tempo: «La felicità non è meno vera solo perché finisce, e nemmeno il pensiero e l’amore perdono valore perché non sono eterni» (Bertrand Russell).
Poteva essere diversamente? Sì/No, ma vi prego se davvero pensate di scrivere il libro della vostra vita, cercate almeno di essere originali, creativi, e perché no spiritosi, prendetevi un po’ più alla leggera. Non tutte le esperienze sono da guinness dei primati, come non tutti i romanzi sono dei capolavori. Fermate la vostra tastiera elettronica e date sfogo al vostro “supplizio” di scrivere con coscienza di verità. È preferibile una storia inventata, significativa, di fantasia creativa, di “bellezza” interiore, a una storia insulsa di come schiacciare le lattine delle bevande gassate, di come provvedere a fare la differenziata dell’immondizia che tenevate in casa; o parlare con foga del colore della cacca del pupo, ma non di quella del cane che invece non vi siete degnati di raccogliere.
Ecco, degnatevi almeno di dare uno sguardo ai titoli dei libri nello scaffale della vicina libreria (che sta chiudendo); di certo uno di essi richiamerà la vostra attenzione e senza che voi lo aspettiate, potrebbe contenere le risposte adeguate alle domande che per pudore non vi siete poste. Per così dire, che potrebbe spalancare le finestre della vostra “casa interiore” che per paura avete tenute chiuse. Sono certo che nelle pagine di un libro potrete trovare quel “senso” che talvolta è venuto meno nel quotidiano della vostra vita. Ma accorti, non lasciatevi cogliere impreparati…
«Potranno recidere tutti i fiori, ma non potranno fermare la primavera» (Pablo Neruda).
Questo perché leggere affina l’esperienza, e domani vi troverà comunque pronti ad affrontare quella stessa contrarietà che avrete appreso dalle pagine di un romanzo cui non avreste dato un pizzico di fiducia. Non abbiate paura del numero delle pagine che vi trovate ad affrontare, semmai pagina dopo pagina, la sgravano della sua possibilità d’interferire negativamente sulle vostre preoccupazioni quotidiane e a spingere i vostri passi verso gli altri che leggono e che incontrate sul tram, al parco o in lavanderia.
Perché leggere è fonte di comunicazione, di scambio, di conoscenza; apre al dialogo, permette di discutere, di arrabbiarsi del perché di un comportamento piuttosto che di un altro, ma mai tornerete a casa con un libro tra le mani dopo una passeggiata senza dovervi confrontare con voi stessi in modo nuovo. Magari ricreati nello spirito, pronti ad affrontare le nuove sfide che la vita propone, nel bene e nel male, per cui, sul finire di questo nostro interloquire, potreste accorgervi che ogni storia, per quanto avvolta nel dolore e nella morte, in fondo fa parte della vita, perché in fondo siamo tutti personaggi esistenziali d’una “recita” che non ha mai fine. In fondo è un po’ come…
«Invitare una persona a pranzo è occuparsi della sua felicità durante tutto il tempo ch’essa passa sotto il vostro tetto» (Anthelme Brillat-Savarin).
Chissà perché mi viene da aggiungere “o nel vostro letto”, cosa che a mio parere non guasta mai, ma ciò dipende dai gusti di ognuno, per quanto…
«L’erotismo è una delle basi di conoscenza di sé, tanto indispensabile quanto la poesia» (Anaïs Nin).
Per quanto non dovreste essere risentiti, non sono qui a dare dell’ignorante letterario ad alcuno, una cosa che non mi permetterei mai di fare, neppure verso coloro che potrebbero meritarlo, per quanto ognuno possa esprimere un giudizio qualificato come quello che segue…
«Potete giudicare quanto intelligente è una persona dalle sue risposte. Potete giudicare quanto è saggia dalle sue domande» (Nagib Mahfuz).
E allora eccovi servite alcune domande che avrei forse dovuto fare in primis, cioè all’inizio di questo articolo: da quanto tempo non leggete un libro? Avete un genere che particolarmente vi piace o che vi interessa? Preferite leggere un libro “cartaceo” o in e-book / e-pub ecc.? Tutte le risposte sono ben accette e saranno per me di grande interesse come immagino per quanti si avvalgono della comunicazione come strumento di solidarietà nel reciproco scambio.
Potrete sempre inviarle “gratuitamente” nello spazio apposito che accompagna l’articolo, alla voce “lascia un commento”. E visto che siete in molti ad avere una fottuta voglia di scrivere, scrivete pure, sperticatevi nel raccontare, commentare, smentire questa mia allucinata locuzione.
I migliori, prometto, entreranno a far parte integrante delle mie future recensioni critiche, del resto…
«Il modo migliore di imporre un’idea a qualcuno è fargli credere che sia sua» (Alphonse Daudet).
«Sono le nostre passioni ad abbozzare i nostri libri, mentre la calma fra l’una e l’altra li scrive» (Marcel Proust).
Ma non fatevi illusioni, la scrittura sembra un mestiere facile, ma è piena d’intrighi, di trabocchetti, di labirinti, di seghe mentali, di paranoie, di illusioni di celebrità, di cadute spettacolari, di “paperissime” incolte, di sotterfugi spasmodici, di false passioni della mente… quanto basta per atterrare i giganti del pensiero come i veri scrittori, i veri poeti e i veri filosofi, tutti affrancati dal fatto che ormai più nessuno li sta a sentire…
«Appena un artista (e sono sicuro tra voi ce ne sono molti) ha trovato il vivo centro della sua attività, nulla per lui è così importante come mantenervisi: il suo posto non è mai, neanche per un attimo, accanto allo spettatore e al critico» (Rainer Maria Rilke).
Biografia di Giorgio Mancinelli