ANTONELLA PELLETTIERI, “D’argilla e neve” di Maria Pina Ciancio

D’argilla e neve. E cinque poesie in dialetto lucano è il titolo della nuova raccolta di poesie di Maria Pina Ciancio uscito per la casa editrice Giuliano Ladolfi Editore, all’interno della Collana Perle – Poesia, diretta da Roberto Carnero con quasi cento titoli.

Il volume è incantevole, leggero più di una piuma nelle parole e nei modi raffinati ma si insinua in tutti gli interstizi dell’anima e lascia il cuore pieno e pesante, denso di sentimenti ed emozioni. Già la struttura del volume è particolare e inusuale: inizia con una pagina sulla quale appare un titolo “Le cose chiedono di essere chiamate col nome” e segue una poesia di Fabio Pusterla e una frase di Giacomo Leopardi che riporto «Dall’abito della rassegnazione nasce noncuranza, negligenza, indolenza, inattività, e quasi immobilità». Nel titolo scritto dalla Ciancio e nella frase di Leopardi vi è descritta la Basilicata. Molto spesso mi è capitato di parlare  della mancanza di nomi, principalmente di persona, in Basilicata: si evita di pronunciare alcune parole e alcuni nomi per oscurare la memoria ed evitare di regalare luce a qualche lucano illustre per molti motivi. Leopardi spiega il resto e cioè che si tratta di rassegnazione. Siamo rassegnati a rimanere senza parole e nomi perché siamo noncuranti e indolenti (lo diceva anche Sinisgalli), inattivi e immobili. In questo quadro di desolazione vivono anime complesse e sofferenti come Maria Pina Ciancio che, invece, le parole e i nomi li sa usare molto bene e con raffinatezza. Conosce il valore salvifico della scrittura e cerca di trasmetterlo in poesia perché in luoghi come questi privi dei nomi, ci vuole tanta poesia di questa qualità che cerca di non far sanguinare le ferite.  E da questo momento in poi i titoli delle poesie e dei piccoli passi di prosa che seguono sono altra poesia e altra riflessione. Basterebbero i titoli per pubblicare un nuovo volume: vi è una poesia che ha solo il titolo «Ci sono giorni / in cui il cuore batte / con un ritmo d’innocenza», oppure regala un titolo alle parole di Carlo Levi “Oltre la strada la luce tra le crepe”. Il tema principale è l’emigrazione, essere andati via e, poi, ritornati e sentirsi completamente apolidi ma pieni della tenerezza dell’infanzia con i colori, gli odori e i luoghi che sono origine e restanza. Non si muoveranno più dall’anima, faranno compagnia nelle notti insonni “in un mondo vicino e lontano” e la poetessa, nella soave introduzione in versi spiega che nel volume si parla de «la nostra quotidianità di paese fatta di abitudini, / sradicamenti, partenze, ritorni, lunghi e sconfinati silenzi».

Maria Pina Ciancio è nata in Svizzera, è tornata in Basilicata a Sanseverino Lucano ma ora vive a Roma fermandosi spesso in terra lucana. Anche la dedica del libro è in versi e ha un titolo “Un paese non ti lascia mai”: «Dedico questa raccolta a mio padre / che in questo periodo di resistenza alla malattia / ha ridato luce ai ricordi / e alla memoria collettiva / di un paese»:

                            I miei occhi /sono un transito di stelle / e di voragini

Tutto ciò che non dico è oltre il sud
anche questi fiori d’argento alla finestra
e questa gioia (…) così isolata nella sera
sconsacrata da gesti che ritornano lenti
a un rituale d’avanzi

Anelli che si staccano a scuoterli troppo
e si disperdono per troppa stanchezza
per troppa trasparenza d’intenti

Il volume contiene la prefazione di Andrea Di Consoli  a cui la poetessa ha dedicato una poesia con parole di una tenerezza soffocante dovuta all’aver avuto una esperienza simile da emigrati  «Se avessi un fratello saresti tu stanotte / e non dovemmo raccontarci nulla / solo mangeremmo insieme / i pomodori già maturi dell’orto di mio padre». Di Consoli scrive anche lui una prefazione piena di soave dolcezza raccontando l’amicizia con Maria Pina Ciancio e la frequentazione con la poesia che accomuna i loro animi.

Inoltre il volume è arricchito da cinque poesie in dialetto lucano che sono da leggere e rileggere perché si trova tutto l’amore della Ciancio per i suoi ricordi di infanzia e si conclude con alcune parole di Pasolini messe in versi dalla Ciancio «Quando scrivo poesia è per difendermi e lottare, compromettendomi, / rinunciando a ogni antica mia dignità: / appare, così, indifeso quel mio cuore elegiaco di cui ho vergogna».

Nelle poesie si parla di donne e dell’importanza della cultura: «Dormivamo tutti nello stesso sogno / di giorno abbandonati / alla bellezza / di notte attraversati dai fantasmi / della fuga / E ci svegliavamo sudati, la fronte e il petto / Tu che scappavi, io che già bambina / giocavo a far la guerra con i maschi / e inciampavo nelle gonne / e nei miei passi troppo goffi / Quando lo sfinimento arrivava / mi stringevo le mani sulle orecchie / per non sentire gli scatti delle trappole / e i rumori assordanti che venivano da dentro / Quante volte nella vita ho invocato l’ignoranza».

Questa raccolta è il libro più bello che mi ha donato l’estate 2023 e non sono sicura di meritare parole piena di così tante bellezza e raffinatezza: mi sento molto vicina ai pensieri di Maria Pina Ciancio e vorrei saper usare le parole come le usa lei. In Basilicata vive una grandissima poetessa cantrice di questa terra piena di argille franose e inverni freddi e nevosi: è un libro speciale! E io spero di essere stata capace di raccontare e porgere cotanta magnificenza…

Maria Pina Ciancio
D’argilla e neve
Ladolfi ed., 2023, pp. 78

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Biografia di Antonella Pellettieri

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