LUCIANA GRAVINA, “Rocco Scotellaro e la questione Meridionale. Letteratura politica inchiesta” di Marco Gatto

Questo volume di Marco Gatto, esce in occasione del centenario della nascita di Rocco Scotellaro, ma se pensiamo che sia un mero omaggio celebrativo, siamo sulla strada sbagliata. In realtà l’autore intende consegnare al lettore una rivisitazione dell’eredità scotellariana con alcune intuizioni del tutto innovative. Già nel primo paragrafo del primo capitolo (Uno si distrae al bivio, La fatica della mediazione), esplicita una prima proposta: ripoliticizzare Scotellaro, ritenendo che una lettura dell’opera e del lascito scotellariano sia avvenuta in anni piuttosto lontani dai nostri, per cui la legittimità di questa ipotesi consisterebbe nell’opportunità dialettica di rivelarsi prossima al nostro tempo, dove la questione meridionale è alle prese con conflitti e contraddizioni che renderebbero necessaria una rivisitazione politica e non meramente culturale e libresca, al di là di ogni pretesa di ritorno ma sicuramente una ripresa dell’istanza dialettica tra “unità e particolarismo, tensione totalizzante e frammentazione”.  Sicuramente è interessante, se non proprio opportuna, la proposta di riconsiderare  l’idea di un Sud unitario, quella a cui aderisce in prima istanza lo stesso Scotellaro, riconsiderarla in un momento in cui il nostro Sud  fatica in conflitti a contraddizioni per una politica scellerata che ne ha fatto un conglomerato di frazioni territoriali a cui i particolarismi hanno imposto un destino di disuguaglianze e di ingiustizie. E tutto questo in vista di quello che il nostro autore definisce “fallimentare feticcio dell’autonomia”. Dunque rileggere Scotellaro ai fini di una lezione per il nostro tempo, ma rileggerlo soprattutto alla luce del nostro tempo.  

L’altro enunciato è che la proposta di rilettura e di reinterpretazione ruota intorno al concetto di mediazione, nel senso innanzitutto di impegno culturale e politico che si occupa di studiare e di valutare i conflitti e gli squilibri, e nel senso di ricerca di una sintesi unitaria possibile. In questo Scotellaro si adoperò come “scrittore e militante” con consapevolezza e anche attraverso inquietudini e dubbi mai veramente risolti, lavorando in una costante condizione di ricerca e non dando mai per scontata la soluzione ipotizzata. Per confermare che Scotellaro fu l’ intellettuale della mediazione, occorre innanzitutto opporsi al cliché del poeta contadino, come più volte superficialmente è stato definito. La propensione alla mediazione gli deriverebbe dal suo status sociale, non essendo Scotellaro un contadino, ma figlio di artigiani, che può permettersi, sia pure con sacrifici, una formazione nei Licei Classici di Matera, Potenza e Trento, e l’iscrizione all’Università per una laurea in Giurisprudenza mai conseguita.                                    

 L’autore insiste sulla necessità di mettere in evidenza la formazione culturale e letteraria di Scotellaro che ha dimestichezza con le lingue antiche come evidenziano, oltre che alcune occorrenze di topoi omerici, traduzioni da Mimnermo, anche alcune da Catullo e da Orazio inserite nella raccolta di poesie È fatto giorno.  Propongo la traduzione di Fons Bandusiae:

Bella fontana di Banzi,
ti luccica un’acqua di vetro,
ti porteremo domani in un cesto di fiori
un capretto che allatta e pasce.
Le prime corna gli promettono guerre di amore,
peccato perché noi laveremo il suo sangue
nel tuo rivolo gelato.

Perché non ti prende il sole cane
e tu puoi rinfrescare
I buoi aratori e le greggi camminanti.
La bella fontana di Banzi,
dicono che sarai tra le nobili fonti,
perché rompe il cuore delle pietre
la tua canzone lontana.

Come si può vedere, questa traduzione è rispettosa degli stilemi della poesia del suo tempo, anche se guardiamo soltanto,  gli endecasillabi e gli ottonari ben controllati e la musicalità ottimamente sorvegliata. E ciò dimostra che Scotellaro conosceva bene i poeti del suo tempo, Montale, Quasimodo, Sinisgalli. Così come nella poesia Lucania:

M’accompagna lo zirlio dei grilli
E il suono del campano al collo
D’una inquieta capretta.
Il vento mi fascia
Di sottilissimi nastri d’argento
E là, nell’ombra delle nubi sperduto
Giace in frantumi un paesetto lucano

Questo testo che piacque molto a Rocco Mazzarone, è un testo breve, un microtesto di  sette versi in cui l’archetipo della terra-patria (o matria, se vogliamo) è codificato con isotopie che vanno dal cinetico allo statico, e sicuramente sono frutto di una consapevole attenzione a una contrapposizione tra il poeta e la sua terra desolata (paesetto lucano giace in frantumi). Eppure quel vento che lo fascia “di sottilissimi fili d’argento” sembrerebbe un risarcimento estetico per la sua condizione disperata. È un testo il cui statuto porta facilmente a definire lirico, ma poi, quando nei testi poetici successivi, il poeta si allontana da questo stile a favore di forme linguistiche più immediate e vicine alla parlata, diciamo così, contadina, fa una scelta, e se la poesia posteriore sembra facile, in realtà dietro c’è una ricerca che lavora sul linguaggio, nella consapevolezza che la poesia è linguaggio e che, come poi ha detto Fortini, la poesia facile non esiste. E quando è facile non è poesia.

Quindi, per tornare al concetto di mediazione, l’interesse di Scotellaro per la condizione subalterna dei contadini deriva dalla consapevolezza del suo status di intellettuale, scrittore e militante, come già detto, che lo porta a quella che è stata definita regressione, vissuta comunque, spiega il prof Gatto, non come diminutio del suo status, ma come allargamento dei ristretti confini culturali e avvicinamento a un mondo caratterizzato da una cultura multiforme e varia, un mondo da condurre alla consapevolezza  di un protagonismo storico, un mondo da cui ritiene poter ottenere la delega. La condizione di prossimità sociale lo porta a mettere continuamente in discussione, lo induce al dubbio, alla provvisorietà delle tesi, al travaglio del percorso, ad una sofferenza per cui il suo impegno è visto come fatica. Non a caso l’autore di questo libro titola il paragrafo La fatica della mediazione. E non a caso l’autore ritiene che una rilettura su questi presupposti possa essere utile a noi, al nostro tempo, proprio ora che una nuova presunta rivalutazione del Sud viene indicata tra inediti meridionalismi neoborbonici e banali “paesiologie”.

L’autore si sofferma sul racconto Uno si distrae al bivio che è la prima epifania del dilemma e della crisi del giovane Scotellaro alla ricerca della sua identità di intellettuale e di scrittore. Ed è importante perché Scotellaro, giovane di venti anni, elabora l’allegoria del bivio attraverso una narrazione carica di dilemmi e di incertezze. Marco Gatto ne studia la genesi, dalle prime prove moderniste di scrittura, nella suggestione di un Vittorini, di una Ginsburg, sicuramente di Carlo Levi) alla prima titolazione di Ramorra  fino alla configurazione definitiva di Uno si distrae al bivio. Attraverso questa scrittura  Scotellaro sperimenta la solitudine cruciale nella quale deve costruire la sua identità di intellettuale impegnato. Ne sono testimonianza numerosi documenti che l’autore indica con notevole rigore filologico, in particolare il carteggio Scotellaro-Pedio, di cui la versione più ampia è fornita da Raffaele Nigro.

Tra le intuizioni che l’autore ancora ci propone, di grande interesse è la conseguenzialità tra mediazione (regressione) e mimesis in cui per mimesi si debba intendere l’artificio attraverso cui la mediazione si realizza. In questo modo lo scrittore, il poeta, il narratore si integra con la funzione dell’intellettuale impegnato, (nella visione del PSI, che è diversa da quella PCI,) nel compito di far prendere coscienza alla classe contadina del suo ruolo nella storia.

Dicevo del rigore filologico, direi anche accanimento, volendo però attribuire a questo termine una semantizzazione positiva, perché la correttezza del metodo accademico di cui questo volume si pregia, ci restituisce un’indagine approfondita, puntuale, e per quanto mi riguarda estremamente interessante.

L’altro elemento di pregio di questo libro è l’impianto strutturale della materia, attraverso cui l’autore riesce a indagare sul personaggio Scotellaro, analizzato in capitoli che lo percorrono in toto. Tutto è analizzato, con ritmo, con puntigliosità, con raffinatezza. Dunque un percorso attraverso le vicende esistenziali di Scotellaro, dalla frequentazione  con quelli che saranno i maestri della sua tormentata transizione dall’asse Gobetti-Levi-Scotellaro a quello Gramsci-De Martino-Scotellaro, alla sua personale vicenda di poeta e scrittore così intensamente connessa con la sua identità di intellettuale impegnato, alla drammatica vicenda del carcere legata alla sua esperienza di sindaco di Tricarico, una storia densa e complessa che Marco Gatto narra con atteggiamento sistemico, con rigore scientifico, con competenza, ma anche con passione.

Marco Gatto
Rocco Scotellaro  e la questione Meridionale, letteratura politica inchiesta
Carocci Editore, 2023, pp. 168
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