
Che cos’è un viatico? Nell’antica Roma, l’insieme delle cose puramente materiali – cibo, vesti, denaro – che una persona porta con sé mettendosi in viaggio, una nozione probabilmente ancora più estesa del nostro bagaglio, insomma. In senso figurato, passa però successivamente ad indicare quanto possa servire di sostegno, di conforto, di aiuto in un’impresa, un’attività; un viaggio vero e proprio ma anche un viaggio metaforico, magari un viaggio interiore o il viaggio per eccellenza che è la nostra stessa vita terrena. Nel linguaggio ecclesiastico, infine, con l’iniziale maiuscola, può indicare la comunione amministrata ai fedeli gravemente infermi, quasi alimento spirituale con cui affrontare il viaggio verso l’Aldilà; del resto, anche a quest’ultimo ci si allude comunemente con la parola viaggio, benché talvolta si aggiunga “di sola andata”.
Probabile che, con Viatico per peccatori (Ensemble, Roma, 2023), Rosaria Ragni Licinio abbia felicemente desiderato giocare sulla ambigua polisemia di questa parola. Non di meno, nel momento in cui è associata ad un altro concetto che nella tradizione giudaico-cristiana possiede un enorme peso, quello di peccatore, l’accezione ecclesiastica di viatico guadagna una certa rilevanza nel campo delle traduzioni e dei “tradimenti” possibili, ma a questo punto tocca domandarsi anche chi sono i peccatori, e nuovamente è una domanda di non facile risposta, non ultimo perché ne ingloba almeno due: a) cos’è che rende peccatore un individuo?; b) chi sono – non dico nomi e cognomi, ma almeno un po’ più di determinazione – questi peccatori ai quali allude il titolo?
In greco antico, peccato si indica con la parola ἁμαρτία (amartìa), traducibile essenzialmente come “mancare il bersaglio”. Chi manca il bersaglio non è un vincente; e, tanto più in un mondo in cui un “poeta nazionalpopolare” interpreta lo spirito del tempo cantando che ce la fa Uno su mille (1985), i non vincenti, dunque i peccatori, sono la maggioranza. Un viatico è però qualcosa che dovrebbe aiutare e dunque, nel caso in questione, ci potremmo aspettare provenisse da un soggetto che non si identifichi nel novero dei peccatori, quasi una identità cristica – cosa sono i Vangeli, del resto, se non “viatici per peccatori” e come non sentir riecheggiare a questo punto nelle proprie orecchie la risposta che Gesù dà ai farisei quando lo accusano di mangiare insieme a pubblicani e peccatori: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Matteo 9, 12).
Eppure, se si scorrono con attenzione le pagine della raccolta di poesie della Ragni Licinio, se si lascia penetrare a poco a poco lo spirito di quei versi nel proprio sentire e li si assimila, si scoprirà che la sua posizione è ben diversa. Il suo viatico appare così certo destinato ai peccatori, ma da un peccatore tra i peccatori. In tale ottica ciascun essere umano, benché nelle sue forme e nei suoi tempi, potrebbe formulare un proprio viatico per sé e per gli altri e dai viatici altrui come dal proprio potrebbe trarre giovamento. Del resto, anche quelle parole di Gesù, lette nel contesto più ampio della Rivelazione cristiana, non attestano certo l’esistenza di una linea netta tra peccatori e non peccatori, come tanti altri esempi rinvenibili nelle Scritture sono ben capaci di testimoniare: dal passaggio della Lettera agli ebrei in cui si legge che Gesù è «stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (4, 15), che lascia implicitamente intendere che il peccato è per gli uomini la consuetudine, a quello del Vangelo secondo Giovanni, allorché Gesù salva l’adultera rispondendo lapidario: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (8, 8), fino al peccato dei progenitori che, tanto più nella lettura paolina, appare chiaramente l’atto che apre alla condizione peccaminosa dell’umanità tutta: «Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato» (Romani 5, 12). Una linea netta sussisterebbe piuttosto tra chi ha coscienza della propria condizione di peccatore e chi invece si crede immacolato o quasi, e qui, ancora una volta, una risposta di Gesù ai farisei, nell’ambito della discussione che scaturisce dopo la guarigione del cieco nato, è di una eloquenza terribile nell’rendere palpabile tale distinzione: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (Giovanni 9, 41).
«Il senso di colpa improvvisa / segnali di mutamento – rendere l’attimo / gesto: inchiodarsi una croce sul petto –»; «A cena la tavola / è apparecchiata solo da un lato»; «scorre l’idea fissa: mendicare / l’amore dentro un pantano; «quando cadono ali e vestiti»: sono questi solo alcuni dei ritagli possibili, da un corpus di circa una quarantina di componimenti – tutti abbastanza brevi; raramente superano i dieci versi, mentre è assai frequente la partizione in strofe –, al fine di restituire il tono complessivo del viatico. Esso è certo pervaso da un marcato senso di desolazione, da una costante minaccia dell’oscurità e da un acre sapore di morte. Il riferimento all’oscurità avviene tanto attraverso singole parole che rimandano ad un’area di significati – più che oscurità è la parola “ombra” a ricorrere innanzi tutto – o a quel preciso significato – la nozione di morte nella sua versione di sostantivo, di aggettivo o anche di verbo ricorre non rada –, tanto attraverso atmosfere che germinano in virtù dello scorrere sofferto dei versi – ché il tono è di una lentezza cupa ma costantemente ravvivata dalla profonda dolcezza di una voce femminile e dall’improvviso accendersi di lampi e menare di fendenti.
Forse l’acme dell’espressione del male è raggiunta in una poesia ove è narrata, non senza opportunamente velarne la trama, una brevissima ma tragica vicenda di epifania di un mancare/mancamento. Uno di quegli eventi che funge da sciagurato spartiacque nella propria vita – «in nessuna memoria la vita di prima / le mani, i piedi e tutto lo sguardo». Quando sullo schermo compaiono «con le ombre in fila indiana / segni illeggibili», quando, «per gli occhi feriti», si sperimenta, malgrado se stessi, «[…] un gran correre / nell’acquario di insetti e parole».
Eppure, la poetica di Rosaria Ragni Licinio non solo non si risolve certo in un mero frasario verseggiato della sofferenza – peraltro non è certo la sua una sofferenza generica, ma ben situata e cosciente, iscritta dentro una visione del mondo, ed è proprio in virtù di questa solida visione che la donna, oltre che la poetessa, non perde mai la bussola, pur in mezzo a non lievi criticità –, ma neanche trova, a mio parere, nella nozione di sofferenza l’autentica parola chiave. Ella pare piuttosto abbracciare visceralmente una sorta di “etica della non potenza”, nel senso che tale espressione assume nel pensiero di Jacques Ellul, filosofo e teologo francese che coniuga il suo credo cristiano di confessione calvinista con tratti politici tendenti all’anarchismo, e che riviene un paradigma di tale etica nel Cristo deriso, umiliato e infine condannato dal potere opprimente dello Stato che però, proprio nella sua – apparente – mancanza di reazione manifesta la sua superiorità morale. Nella Ragni Licinio certo la “non-potenza” possiede coloriture meno politiche, ma mi sembra conservare intatto il riferimento teologico-esistenziale, quello relativo alla fragilità dell’essere umano davanti a Dio, rispetto al quale il primo si mette in dialogo con il secondo in un contesto funestato da un male a tratti lancinante – «e un urlo risale: l’incipit dell’Inferno tramandato di padre in figlio» –, eppure mai considerato come una creazione diretta di Dio. Il Dio di Rosaria non è un Dio del dolore, e pertanto non è neanche un Dio da mettere sotto accusa come una sorta di Forza patrigna – «la proporzione è un pregiudizio / non posso modellarmi davanti al Signore». Certo, forse non appare neanche come Dio di salvezza, ma forse come Dio di speranza sì. E, a ben vedere, ricercando con cura e sensibilità, spiragli di respiro salvifico non mancano di emergere, disseminati qua e là lungo il dettato poetico: «finirà questo vagare /oltre il cerchio / delle cose precarie»; «Sono vicina alla grazia»; «dimenticare la mancanza di luce / per qualcosa sulla terra / ancora restare»; «Pregheremo nudi con gli animali /per compassione in un tempo». Ad un tratto balena persino un sussulto di sottilissimo erotismo: «Ti ho dato in pasto la bocca / per la cura del respiro».
Rosaria Ragni Licinio
Viatico per peccatori
Ensemble, 2023, pp. 58